Il Cavaliere è nato nella “sua” Milano il 29 settembre 1936. Anagraficamente, a leggere il suo stato di nascita, dovrebbe avere ottantadue anni. Ma una cosa è l’età anagrafica, un’altra è quella biologica. Per farla breve, tra l’anagrafe e la biologia, bisogna scalargli almeno vent’anni. O forse di più? E pensare che ad uno così… “giovane”, quando aveva appena sessant’anni (età anagrafica), il suo ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, in giro, lo chiamava “il nonnetto”. Chissà se certe incomprensioni tra i due, al di là dei conti e del bilancio dello Stato, non avevano origini più terra terra: l’immagine del “nonnetto”, con relativa gobba e bastone per sorreggersi.
C’è chi ha preso ispirazione dal corpo di Silvio per scrivere un libro, tradotto pure in francese: “Il corpo del capo”, Guanda, Parma-Milano 2009. L’autore è Marco Belpoliti che, tra l’altro, identifica Silvio “come un mutante in transito verso un’era successiva”. Beato lui.
Il “mutante” deve stare molto attento perché corre il rischio che la sua Forza Italia scompaia come neve al sole. L’obiettivo, non troppo nascosto, di Salvini è quello d’incorporare nella sua mega-Lega sia la creatura del Cavaliere, sia i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Nel suo smisurato ego Berluscaz, come lo appellava il compagno-avversario Umberto Bossi, è convinto che solo lui può tenere in vita FI. Il suo volto sorridente è il cuore pulsante del partito. Senza di lui non c’è futuro. Sta dando spazio al suo vice Antonio Tajani, che è anche presidente del Parlamento europeo, ma fino ad un certo punto. Non si pone proprio il problema che senza di lui Tajani, accantonata Forza Italia, potrebbe creare una formazione “nuova” di centro, per dare una casa ai tanti “democristiani” sparsi per il mondo politico, dal Pd alla stessa Lega. Lui, l’ex presidente del Consiglio, non sente ragioni. Non pensa proprio a ritirarsi.
Dovrebbe aver cancellato dalla memoria, per la vergogna, i tempi degli scandali. Del “bunga bunga”, di quando Veronica Lario apostrofava l’entourage dell’ex marito come “ciarpame senza pudore”. Della “mignottograzia”, termine coniato dal senatore berlusconiano Paolo Guzzanti. E invece no. Quei tempi un po’ li rimpiange, non solo per l’età. Ma anche per l’invidia che amici e non avevano nei suoi confronti. Non gli mancava niente (secondo lui): potere, ricchezza, saggezza, bellezza e chi più ne ha più ne metta.
No, non ha nessuna intenzione d’uscire di scena. Anzi, vedendo come si è ridotta la politica, è convinto che, se avesse i voti del suo sodale (si fa per dire) Salvini, sicuramente sarebbe riuscito a raddrizzare un Paese che sta andando a sbattere. Lui, il Cavaliere, è partito da zero, costruendo un impero che tutti gl’invidiano. Gli altri, i Di Maio, i Salvini, i Fico, insomma quella gente lì che detiene oggi il potere, nella vita ha fatto poco, o meglio niente. Gli italiani sono brava gente, rimurgina Silvio da Arcore, ma spesso si fanno infinocchiare dalle belle parole, dai film ad effetto. È quello che secondo lui sta accadendo oggi. Certo, anche da lui hanno imparato ad usare i mezzi di comunicazione di massa, a far sì che la politica, più che gestione della polis, fosse spettacolo. Un qualcosa che avvincesse gli spettatori-elettori. Sì, la lezione berlusconiana l’hanno imparata proprio bene. Però, vuoi vedere che alla fine, a noi italiani, ci tocca rimpiangere il “caimano” o lo “psiconano” che dir si voglia?
Elia Fiorillo