“I pentiti devono morire abbruciati”. Il Gip: è istigazione a delinquere aggravata da finalità mafiose. Carabinieri e Polizia identificano i 5 responsabili del rogo dell’8 dicembre: due sono minorenni; ai loro tre complici over 18 viene imposto il divieto di dimora in Campania.
Nelle prime ore della mattinata odierna, in Castellammare di Stabia, personale del locale Commissariato di P.S. congiuntamente ai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata e della Compagnia di
Castellammare di Stabia hanno dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora all’interno della Regione Campania –emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti di IMPARATO Francesco, ARTUSO Antonio e AMENDOLA Daniele, ritenuti responsabili dei reati di istigazione a delinquere con l’aggravante delle finalità mafiose (art. 416bis 1 c.p.).
L’attività investigativa veniva avviata nelle fasi immediatamente successive alla notte del 8 dicembre 2018 quando, in occasione dei festeggiamenti per la S.S. Maria Immacolata, all’interno del rione “Savorito” di Castellammare di Stabia, cinque soggetti di sesso maschile issavano su di una pira di legno, ritualmente allestita per i così detti “fuocaracchi”, uno striscione con la scritta: “COSÌ DEVONO MORIRE I PENTITI, ABBRUCIATI” e un manichino di pezza con un cappello in uso alle forze dell’ordine: il tutto veniva poi dato alle fiamme alla presenza di una moltitudine di persone.
Le indagini, immediatamente avviate in sinergia tra l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato sotto il coordinamento della D.D.A. di Napoli, consentivano di identificare gli autori nei tre maggiorenni sottoposti a misura cautelare e in due minorenni per i quali sono tutt’ora in corso indagini coordinate dalla Procura della Repubblica dei Minorenni di Napoli.
L’episodio avveniva nel quartiere della periferia stabiese noto come “Aranciata Faito”, zona abitata dalla famiglia Imparato, meglio noti come i c.d. “Paglialoni”, fiancheggiatori del clan D’Alessandro.
Il monito lanciato attraverso l’affissione dello striscione ha rappresentato un eloquente messaggio intimidatorio nei confronti dei collaboratori di giustizia oltre ad esprimere sostegno e solidarietà verso il clan D’Alessandro colpito pochi giorni prima da una misura cautelare eseguita dalla Polizia di Stato per aver commesso in quel territorio reati ricostruiti anche grazie alle popalazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia.