Il passato che resiste e la necessità di una città-museo

La scoperta in piazza Unità d'Italia di cisterne datate al XVII secolo ha messo in evidenza, una volta di più, l'eccezionale portata del patrimonio archeologico stabiese. Un'eredità millenaria che va restituita alla fruizione dell'intera collettività, nell'ottica di un unico museo cittadino a cielo aperto.

I lavori in piazza Unità d’Italia, promossi dall’Eav nell’ambito della realizzazione di un’area parcheggio per l’adiacente Circumvesuviana, hanno riportato nuovamente alla ribalta il delicato tema del rapporto tra archeologia e lavori pubblici.

Una questione complessa che interessa, a sua volta, tante sotto questioni. Quella relativa alla salvaguardia del patrimonio, ad esempio, e allo stesso tempo la sua conciliazione con opere e infrastrutture necessarie alla collettività.

Fermo restando che patrimonio culturale e pubblici lavori, in una società avanzata e moderna, rappresentano due rami dello stesso albero, la scoperta archeologica effettuata a Castellammare pochi giorni fa merita un’attenzione particolare.

Le operazioni di scavo hanno riportato alla luce, è utile ricordarlo, delle strutture (databili, in attesa di responso definitivo della Soprintendenza, al XVII secolo) riferibili probabilmente a pozzi e cisterne. Strumenti di raccolta e conservazione per acqua o altre tipologie di beni.

Piazza Unità d’Italia, strutture rinvenute nel corso dei lavori Eav. Foto di Genny Manzo

Naturalmente, questi reperti non ci dicono molto di più. Così com’è non è corretto aggiungere altro, al momento. Solo scavi futuri ci aiuteranno a capire di più.

Tuttavia, in questa sede, vorrei sottoporvi una riflessione. Una riflessione che parte da un dato. Il fatto cioè che queste strutture – più vicine al periodo barocco che non al medioevo, come sostenuto inizialmente – sono affiorate ad appena tre metri di profondità.

Piazza Unità d’Italia, scavo di cisterna. Particolare. Foto Genny Manzo

È un’informazione, questa, fondamentale. Perché conferma, una volta di più, l’assoluta peculiarità del patrimonio storico e archeologico di Castellammare. La sua prossimità col presente e, al contempo, un passato che resiste agli affronti del tempo e degli uomini. Un passato che chiede fortemente al presente di essere riammesso alla conoscenza e alla tutela. I ritrovamenti di Piazza Unità d’Italia sono un invito, un assist per noi involontario, a proseguire una ricerca a questo punto senza più limiti.

In questa prossimità con il suo passato, Castellammare può vantare un palinsesto storico formatosi senza soluzione di continuità. Dal periodo greco-etrusco a quello romano, passando per il medioevo, il barocco e l’800.

Per questo, ritengo che le testimonianze di piazza Unità d’Italia non solo vadano riportate alla luce completamente. Allo stesso tempo, bisogna partire da questa scoperta per trasformare Castellammare in museo a cielo aperto. Una città-museo, nello specifico, dove en plein air sarà possibile per chiunque respirare la storia in modo quotidiano. Magari mentre si passeggia o si beve un caffè.

Dai complessi archeologici di Varano – finalmente restituiti alla fruizione della città – al medioevo, e poi il Rinascimento, con le chiese del centro storico, le piazze e gli altri monumenti cittadini. Non so quanti esempi esistono, in Italia e nel mondo, di città-museo. Nel caso di Castellammare potrebbe essere un vero e proprio punto di svolta. Convertire tutto il tessuto cittadino a un’economia turistica, risolvendo una volta per tutte il dualismo turismo/industria che ha tenuto la nostra città in un limbo per decenni, senza alcuna via d’uscita.

Donazione sostieni il Gazzettino Vesuviano