Scuola pubblica, regionalizzazione la smantellerà

Sul tema le considerazioni dell’insegnante Antonella Trovato, presidente del ‘Comitato Scuola Non si Svuota il Sud’

Il tema attualissimo del regionalismo differenziato investe anche il mondo della scuola. E’ proprio dal mondo scolastico meridionale che si levano voci critiche sul possibile ampliamento

 

delle previsioni del titolo V della riforma costituzionale che potrebbe, se formalizzato, rendere ufficiale la scuola di serie A e quella di serie B. Questo cozzerebbe inesorabilmente con la Carta Costituzionale e con le Norme generali sull’istruzione. Di seguito le considerazioni dell’insegnante Antonella Trovato, presidente del ‘Comitato Scuola Non si Svuota il Sud’.

“La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”; con la regionalizzazione si rischierà di decentrare e consegnare alla liberalizzazione e alla privatizzazione la scuola; alcuni docenti diventeranno impiegati regionali, di quelle Regioni che godono del sostentamento di aziende, privati, famiglie e di altri impiegati della PA di questo Stato, con un profilo nazionale e paradossalmente sottoposti alle impietose condizioni che sorreggono proprio la Scuola Meridionale.

Qualcuno sostiene che la regionalizzazione è al momento un contenitore vuoto: non è cosi, è pieno, invece, di quella previsione che regge la stessa regionalizzazione, il famoso gettito fiscale che stabilirà la destinazione dei fondi all’istruzione, che

permetterà di defraudare il Sud, di organico, di risorse, di ricercatori, di studenti; è pieno della previsione del presidente della regione Veneto, Zaia, che definisce in nove decimi del gettito fiscale la quota che sarà disponibile per l’autonomia differenziata.

Il Ministro Bussetti ha evidenziato che ogni scuola deve imparare a camminare con le proprie gambe in autonomia, proponendo un’offerta formativa specifica per la sua collocazione territoriale. E’ questo il concetto di autonomia scolastica? Bene! Le scuole del sud attendono da quarant’anni il tempo pieno. La corsa sarà impari, la situazione di partenza non è comune, provocando un’ulteriore forzatura.

Nel frattempo al Sud si continuano a chiedere le classi di potenziamento, quelle che nella previsione del comma 3 legge 107, dovevano servire a riqualificare l’offerta formativa e quindi la lotta alla dispersione scolastica e che invece sono servite ad assicurare, dopo lo scippo dei docenti, anche i supplenti al Nord, però di ruolo.

Gli esiliati suggeriscono quindi di impegnare le risorse del governo per un sistema di valutazione efficace dell’istruzione, che sia in grado di perequare le risorse dello Stato, per risanare la voragine della riforma Gelmini e lo scempio delle migliaia di cattedre tagliate, per assicurare pari opportunità agli studenti , dal nord al sud , anzi dal sud al Nord, come dovrebbe fare il buon padre di famiglia.

Ventitremila docenti meridionali vagano al nord, stracciano al nord stipendi in tratte aeree, affitti, ricorsi, stipendi che avrebbero portato una

boccata di ossigeno a questo Sud affamato. Andare fuori deve essere una scelta, non una imposizione; deve essere una scelta per il lavoratore, per il docente, per lo studente, che invece sarà costretto, se vuole avere un’ istruzione efficace ed efficiente, a spostarsi nelle regioni del nord, quelle con le “Scuole Belle”, come siamo soliti dire noi, le scuole di serie A.

La 107 ha scippato i professionisti al Meridione, quelli con le lauree, i master, l’esperienza; la regionalizzazione scipperà l’istruzione stessa con lo smantellamento progressivo della scuola pubblica, attraverso un sistema scolastico con investimenti e qualità legati alla ricchezza del territorio. Gli esiliati dicono no e immaginiamo che il nostro no conti. Riqualificate le nostre scuole, investite in nelle Regioni Meridionali, create condizioni affinché si possa fare rientro. Noi abbiamo il dovere di supportare economicamente il nostro territorio, abbiamo il diritto di sostenere le nostre famiglie. Punto!”.

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