Quel giorno…
Un lampo squarcia il cielo grigio, dando nuove colorazioni a quell’ottobre strano, fatto di belle giornate e di tempeste improvvise. Ecco, il tuono, che fragoroso insegue la scarica…e poi…la pioggia, acqua che cade dal cielo, quasi fosse un secchio da svuotare. scrosci, che, pesantemente, precipitano giù, quasi a voler pulire strade e anime. sì, anime che si portano appresso le antiche paure, le ansie, le angosce e tutto il loro retaggio geneticamente adattato a esse, mentre vanno avanti nel loro percorso vitale, quasi senza speranza. tutto questo si svolge sul lungomare di torre Annunziata, un auto è parcheggiata davanti a quello che fu un lido, il santa Lucia, omaggio all’antico canto napoletano. Dentro il suo abitacolo, c’è Luca Allante, sui cinquanta, scapolo per scelta, taglio di capelli e colore in buona forma, fisico non gracile, ma tendente all’accumulo di adipe, ancora tanto giovane, ma già così stanco del grande dono ricevuto…la vita. Da poco tempo è stato dimesso dall’ospedale, lieve ischemia cerebrale da shock, dice il referto, il paziente è in ottime condizioni fisiche seppure accusi, al momento, disturbi mnemonici a volte gravi e persistenti. sdraiato sul sedile, sguardo perso nel vuoto, i pensieri gettati sul poggiatesta e la pioggia che cade sul parabrezza e sulla lamiera. Cosa potrà avere da questa giornata scura, senza senso, senza ricordi? il viatico gli viene soltanto dalla musica composta dall’acqua cadente, si adagia in esso, cerca motivi mai sentiti, frasi mai udite.
Cerca…ma non trova niente. il cielo non può regalargli ciò che nemmeno lui conosce, il suo stato non è nemmeno un sogno a cui aggrapparsi, è solo voglia di allontanarsi.
Dove?
Lo nega anche a se stesso, ha paura di confessarselo ma ha paura di vivere quasi quanto ne abbia di morire. La radio spenta, la strada solitaria, i rivoli d’acqua che scorrono ai lati dei marciapiedi, mentre da lontano la spiaggia assume quasi un aspetto strano. sembra quasi un incrocio fra un quadro di morandi e una scena di un film di Fellini, pur non avendo i colori del primo né la magìa del secondo, mostra di sé soltanto la forza dei colori del surrealismo, comune a entrambi. Eppure di surreale c’è poco, veramente poco, è tutto tremendamente reale, un uomo, ormai ombra di se stesso, in balia della sua tristezza d’animo. Abbandonato sulla barca della sua apatia sta cercando il coraggio di rompere gli ormeggi e iniziare il suo viaggio verso il niente assoluto con la speranza di trovare qualcosa almeno lì. Eh sì, la barca, quella che vola nel cielo surreale della sua anima, simile a un banshee irlandese…la carrozza trainata da cavalli neri, che senza ali scorazzano nel cielo e scendono solo per portar via qualche anima. La sua barca si staglia nel grigio cupo del cielo in tempesta, non ha nocchiero, non ha vela, è solo una guscio di noce con due remi che fendono le nuvole. i suoi colori escono dal plumbeo del cielo. Con la sua vivacità cromatica non può essere una barca di morte. Avrebbe dovuto, anche nei colori, intonarsi al rispetto che a essa si deve. La mente vola, si aggrappa a pensieri che, similmente alle ragnatele, avvolgono la mente in una spirale che non si schiuderà. E allorché si perde in questo labirinto del nulla, quando sembra che stai per perdere ogni contatto con ciò che si ha di più prezioso, ecco che il disegnatore occulto cala una nuova carta su questo enorme gioco che è la vita. All’improvviso qualcosa di naturale accade in questa giornata da tregenda… un lampo accecante scarica la sua tremenda energia su un palo infisso nella spiaggia con un tricolore all’estremità. A esso fa subito seguito un tuono che al pari della luce dà tremore all’anima. in auto Luca non ha corso seri pericoli ma forse quella scarica elettrica, forse la sua luce abbacinante, o forse il rombo del tuono o forse chissà cosa gli hanno mostrato un film della sua vita. Ecco, un nastro già registrato dalla sua memoria confusa esce fuori dal cassone della memoria e gli si ripresenta agli occhi… La vita, la grande trappola dell’esistenza, ci porta su mille sentieri, l’uno diverso dall’altro, a volte l’uno esatto contrario dell’altro. Passeggi tra i ricordi dei giorni passati e ti ritrovi immerso in un bailamme di sensazioni, di trepidazioni e altri mille sentimenti che ti sballottano di qua e di là. I ricordi… beh vatti a fidare del loro ordine cronologico. solo una quindicina d’anni fa… immerso in una poltrona davanti al messenger serale cerchi sul youtube il pezzo da mettere. speri di parlare con il titolo, vorresti urlare al tuo mondo i tuoi sentimenti ormai logorati dal tempo, no, questo brano non va, e allora scelgo questo. Così la serata va avanti tra una indecisione e una scelta sbagliata, intanto un altro giorno si è staccato dal calendario, altre ore tolte alla vita. Ma la vita vera, dove sta? Le domande ti assalgono, stai facendo di tutto per non pensare a ciò che non devi, ma come al solito non ci riesci, giri e rigiri e vai sempre sulla sua pagina.
Ginevra d’Araccio, 27 anni, infermiera, nubile e meravigliosamente bella, abita in una città vicina. sarebbe l’ideale per mettere la testa a posto… e poi vi conoscevate ancor prima del tecnocene, ovvero dell’era di messenger.
Lei non è un’ombra, non è una foto con la quale sei stato capace di dialogare per ore, lei ti conosce, sa chi sei e ti apprezza per quello che tu sei non per quello che vorresti essere. Un mes- saggio ti fa sobbalzare, sì è proprio così, lei vuole andare agli scavi di Pompei e, conoscendoti, aspetta che ti faccia avanti per farle da cicerone. Incominci subito a sognare, le tue ormai sono visioni, le hai dovunque, e ora quel fatto così insperato sta per realizzarsi. Un suo cenno può rivoltarti l’esistenza, ma fa ancora caldo e negli scavi è ancora più pesante… la tua viltà si arrampica a qualunque cosa, sai benissimo che lei lo ha detto così, spontaneamente, ingenuamente. non puoi darle la croce addosso, per lei sei solo un caro amico, no? tu invece ti vedi ancora come non sei mai stato, uno dei tanti, non sei diverso dagli altri, sì, sei un sognatore e questo cosa vuol dire? Forse addirittura può essere un’aggravante… no? Con quale ardire vai a fantasticare scene che mai si realizzeranno? Come puoi sperare che un angelo di quella portata possa mai alzare, anzi abbassare, gli occhi su di te?
Sei solo un caro amico… e basta.
Come fai a dirle che quando l’hai vista per la prima volta, tu già la conoscevi, ma la conoscevi solo oniricamente, la sognavi, la vedevi nel sogno ed era così dolce, così spontanea, così… tutto. Poi ti sei svegliato e hai cominciato a parlare col sogno incarnato. Bello, veramente era bello parlare con lei accanto. A un certo punto non parlavi più alla donna ma alla tua preziosa dea, che tu stesso avevi creato e che ora avevi al fianco. Avevi buona cura di non sfiorarla nemmeno, non per la sua ma per la tua fragilità mentale, non amavi che lei pensasse male di te ma lo facevi non costruendo il tuo atteggiamento, ti veniva di getto. Vederla per strada era un tormento, avvicinarla, impossibile, un fiore non può stare vicino a te, questo ti dicevi e quante volte sei fuggito, quante volte hai gettato il tuo spirito lontano. La vedevi da lontano e le dicevi tutte quelle cose che avresti saputo dirle senza che lei sentisse e intanto i suoi colori affondavano sempre più nella lontananza tra le mille persone. non scompariva però nella tua mente, ma non la vedevi come ella era, non meravigliosamente bella com’ella appare. Le avresti voluto carezzare i capelli, avresti voluto parlarle di tutto, perché lei era stata la prima a darti la certezza di comprenderti e risponderti. Avresti voluto affondare nei colori dei suoi occhi scuri ma tanto pieni di luce. Cielo, cielo, cielo, perché mi dai un sogno che so di non poter vivere?
La sua dolcezza, la sua forza e che carattere! Ma dove stavi?
In quale ansa del fiume tempo eri nascosta? Dei dell’Ellade, avete perso Afrodite?
È qui, sì, qui… con tutte le sue meraviglie e vive la sua vita da dea qual merita essere. Cosa pagheresti per far sì che la tua pena fosse a lei nota? Lo sai che una risata ti distruggerebbe, ma tu aspetti proprio che ciò si verifichi?
Come potrebbe realizzarsi un sogno? Ecco, sta’ quieto, rilassati… pensa, sogna di andare con lei da soli negli scavi, vai, è un sogno, non aver paura, getta le ubbie fuori e vivi ciò che puoi, non ciò che vuoi. Ci si vede fuori l’ingresso dell’anfiteatro, si mette il grattino alla macchina e all’angolo della strada aspetti che venga la sua. È quasi puntuale, è forte anche in questo, da cavalier servente qual ti proponi di essere, le vai incontro, dimenticando di prendere il grattino anche per lei. inutile parla- re… sei una frana ma stamattina sei la madre di tutte le frane, non ci sei proprio… e da un lato ti comprendo. Dopo aver espletate le pratiche parcheggiatorie, le vai vicino inondandola di frasi che probabilmente avranno anche un senso ma neanche tu sai quale sia. Lei cerca di capire, imbarazzata un po’ perchè sei così su di giri, ma si rende conto che con te è fatica persa, ma… quant’è bella, vorresti dirglielo, gridarlo, ma l’unica cosa che ti esce è “stai bene stamattina”.
Non l’avessi mai detto!
Di rimbalzo lei ti spara un: “Anche ieri stavo bene”. Vorresti sprofondare, ti stai rendendo conto che non ne fai una buona stamattina, urge quindi un riassetto mentale. Ti rechi all’entrata e fai i due biglietti, poi ti giri aspettandola e indicandole il tratto. Ecco, ora sei in te, i pini, le erbe selvatiche degli scavi stanno facendo effetto, stai trovando la tua calma, sei di nuovo tu nel tuo ambiente naturale e per giunta lo sei con la più bella tra le belle. il tuo passo diventa sicuro, e così ti avvii verso la cavea interna dell’anfiteatro. Vorresti leggere i suoi e i tuoi pensieri, vorresti capire perché sei lì, perché con lei, perché stai portando avanti ciò che già sai come finirà.
Vai avanti e lei ti segue, quasi non parla, sembra voler rispettare col silenzio la gioia che sai dipingere sul tuo volto, quasi come un bambino che ha avuto un giocattolo che tanto desiderava. Il tempo atmosferico è tuo complice, nuvoloso, quasi scuro, ma non ancora piovoso, e tu uscendo sulle scalee dell’anfiteatro ti inerpichi sino all’ottavo gradone come facevi tanti anni fa quando ti mettevi da solo a disegnare e sognare. Il disegno che avevi fatto tante e tante volte era il suo volto, e mentre tu disegnavi lei non era ancora nata e tu sognavi il futuro. Ecco ora è lì seduta accanto a te, la salita tu l’hai fatta di corsa e adesso ne paghi il fio, lei per non farti impressionare ti dice che è ancora affannata, quindi l’ovvio “aver compagno al duol scèma la pena”. Cosa può contener di meglio la mia vita?
Lei, la mia più cara amica, che amica non è, è qui, lievemente sdraiata poggia le spalle sul gradone posteriore e tra le dita della mano sinistra gioca con un filo d’erba, gli occhi chiusi e un’ espressione di serenità le si legge sul viso. La guardi, è così dolce, così splendidamente perfetta e mentre la contempli, come fosse un Raffaello o un Botticelli, lei apre gli occhi e ti domanda… sei contento di stare qui? Si, lo vedo, anzi sembra quasi di stare in un romanzo antico, ma ti vedo pensoso, non dirmi che stai pensando a un libro ambientato qui? No, credimi. Proprio ai libri adesso non sto pensando. E menti spudoratamente… Questa è la pagina più bella che non hai ancora scritto, ma che scriverai con le parole rubate al vento, con la forza di un raggio di sole e con l’impeto della marea che si frange sulla scogliera. Ti alzi, gli scavi sono grandi e bisogna muoversi, si sta appena all’inizio. Lei riluttante lascia il filo d’erba e ti segue. Le scale, stavolta in discesa, vi portano alla cavea inferiore. Tutto è armonia, ma nel mentre state per uscire dal cancello, giù uno scroscio di pioggia vi blocca lì sotto. Si fa di necessità virtù. Piove? non c’è fretta, si può aspettare. E intanto rivoli d’acqua, passando sotto le radici di un pino posto là fuori, scivolano dentro l’anfiteatro. Lei, per non bagnarsi, salta da terra e sta per cadere, tu pronto come non mai la aiuti a non offrire alla terra la gioia di toccarla. Grazie sei stato veramente pronto, non ti avevo mai visto sotto l’aspetto atletico, intanto sta tra le tue braccia e tu senti il suo respiro come lei sente il tuo. Il tempo, ahi quante cose fa il tempo, in un attimo senti il profumo delle sue labbra passare accanto alle tue, ma tu cacci il miglior ghiaccio che hai dentro, e fai come se nulla fosse successo… altro treno perso, ripasserà?
Pensi di aver fatto una figura da perfetto gentleman, ma dall’imbarazzo che traspare dal volto di lei ti ricredi. Ormai è andata così e si continua ad aspettare che spiova.
C’è gente attorno a voi, un uomo e una donna, probabilmente inglesi, si attrezzano subito con impermeabilini di plastica e continuano il loro viaggio in quest’enorme astronave che viaggia nel tempo.
Sì, questo è un episodio della sua vita, è come se fosse entrato un raggio di luce abbacinante e avesse squarciato l’enorme oscurità della sua mente. Ritrovare un proprio ricordo, di solo una decina d’anni fa, ecco, la bellezza della vita, una cosa normalmente così semplice da lasciarci totalmente indifferenti, in circostanze particolari, invece, ci dona attimi di pura felicità. Adesso comincia a rendersi conto della reale possibilità di rientrare in possesso dei suoi ricordi, delle sue sensazioni, del suo vissuto fino a diventare, di nuovo… il padrone della sua vita. Ha brancolato nel buio della memoria già da mesi, senza riuscire a trovare la giusta strada, ora chissà, forse la luce di quel lampo così vicino? Forse questa giornata così strana? Non importa come è successo ma di certo qualunque cosa sia stata, ora gli sta sparando ricordi e segreti molto familiari. È inquieto, assalito da questa miriade di cose che sembravano perse, si sente come smarrito e nel contempo felice. È come quando sai che potrebbe o forse è accaduto qualcosa di indefinito e indefinibile, ma non sai cosa esso sia. Ti rimane in testa il forte desiderio di recupero della normalità e cerchi il modo di riprendere quel ricordo così bello. Ecco, chiudere gli occhi, ascoltare la pioggia che batte sull’auto e abbandonarsi a se stesso, e piano piano il mondo scivola sotto i suoi occhi, un mondo di ricordi… i suoi.
E l’astronave viaggia nel tempo, gli scavi di Pompei, nel loro splendore, riappaiono alla tua vista. La pioggia è passata e sale dalla terra quel profumo di erba bagnata e in particolare dei pini, che aggiungono al profumo della pioggia anche l’inebriante odore della loro resina. Il passo dei due è lento e contemplativo, tale e tanta è l’armonia di quel posto, di quel momento. Luca sembra una spugna assetata di mare e naviga in quell’oceano di sensazioni, assorbendole tutte a piene narici. Ginevra non gli è da meno anche se tenta di dare a quel momento un’aria meno sacrale e lievemente scanzonata, ma è incuriosita dall’atteggiamento del suo accompagnatore. Sembra essere un’altra persona, sì effettivamente è completamente stravolto da ciò che lo circonda ma quello che colpisce è la sua calma, anzi la sua serenità. Lo segue con gioia e, subito dopo il piccolo viale che costeggia la Palestra, si incamminano per una strada che li porterà su alla Via dell’Abbondanza. Arrivati al decumano inferiore, si dirigono verso i teatri, avidamente guardano le mille cose con dovizia di particolari, dagli affreschi, ai graffiti, dai termopolii alle tante case. Giungono alla fontana di mercurio e si dissetano. Il tempo ha concesso una tregua, l’azzurro del cielo ora dona poco spazio alle nuvole, ma il cammino è ancora all’inizio. Anche i turisti si concedono una pausa rifocillante, e in tutto quel viavai di lingue e persone, i nostri decidono di sedersi sul marciapiede al quadrivio dei teatri. Luca è quasi in trance, il fascino di questa giornata lo segnerà per sempre e sta cominciando a rendersene conto. La sua compagna di viaggio, altresì sta modificando antichi parametri mentali e dolcemente appoggia la testa sulla tua spalla. Un lampo? no, un tuono, o un qualcosa di inenarrabile ti sconvolge… in questo momento, è lei che ti poggia la testa sulla spalla. Ti chiedi scioccamente il perché, mille sono i pensieri che vagano in quella mente ma tu rimani immobile, senza dare all’esterno alcun motivo che possa imbarazzare. Certo di donne ne hai conosciute, ma questa non è “le donne” questa è “la donna”, è il tuo prosieguo, è la tua anima che vuol volare e lei ti darà ciò che diceva un sacerdote… l’uomo e la donna sono come due angeli con una sola ala e possono volare solo se abbracciati. E tutti questi pensieri si affollano solo per una testa sulla spalla, non osi pensare al poi, ma tu sei fatto così, a te basta un niente per farti cominciare a volare. La tua fantasia è pari solo al tuo continuo distacco dal non voler mai accettare la realtà, le cose concrete, quelle a cui puoi dare forma, peso e dimensione, sembrano quasi non interessarti. Ecco ora il tuo sogno è accanto a te, basterebbe un nonnulla per realizzarlo, metterle una mano sulla spalla e condividere questo momento di infinita dolcezza. Ma il cervello non invia al braccio l’ordine di muoversi, è continuamente bloccato dai tuoi mille dubbi, dalle tue paure ancestrali, da tutto un background culturale che ti ha impedito di vivere. Hai bevuto alla fonte dell’amore, ma non era ciò che ti aspettavi, hai avuto modo di sognare sogni reali, ma non li hai vissuti, deluso perché non era così come tu pensavi dovessero essere. E ora? ora che il sogno ti è vicino, ora che la vita ricomincia a pulsare nella tua fantasia, cedendo il passo alla realtà, tu… tentenni… ti accusi di viltà e nel mentre lo fai, ti autoassolvi. Che strano individuo che sei, sempre alla ricerca di qualcosa e quando sei sicuro di averla trovata… cosa fai? niente… aspetti che passi.
Tutto passa, si sa, ma non la luce della lucerna del tempo. Sì, essa può muoversi solo se accarezzata dal vento, ma non potrà mai spegnersi, e ne fa di scherzi. Il tuo tempo è sacro e tu hai il solo dovere di saperlo vivere, quindi è normale che mentre ti trastulli fra i tuoi dubbi, avanzando lentamente nella nebbia fitta delle tue insicurezze, Ginevra ti prenda la mano e se la poggi sulla sua spalla, accovacciandosi accanto a te. Frammenti di pensieri ti crollano addosso, le mille congetture, le autofustigazioni, con cui hai inteso avvelenare il tuo sogno, ecco, tutto va via, come spinto dal vento che precede la tempesta, ogni cosa torna alla realtà. Che bello, non essere più schiavo delle proprie paure, dell’io vagabondo nelle tenebre del pessimismo, l’oltraggio alla tua logica è stato fatto. ora sei prigioniero del sogno… il tuo sogno, che non avevi mai pensato di poter nemmeno fare, adesso si confonde con gli ombrellini delle interpreti che si affannano a tenere unito il gruppo e a confidar loro ad alta voce uno dei tanti segreti della mitica Pompei. Ti alzi dal marciapiede, facendo ben attenzione a prenderle la mano e a non lasciargliela, ti avvinghi a essa, come un rampicante lo fa a un tronco… non devi, non puoi e non vuoi rompere quest’incantesimo. Sì, le mille persone che vi circondano ora non esistono più, siete soli tu, lei e quella forza che vi tiene legati per una mano. Il suo contatto fisico all’inizio ti spaventa, poi ti adagi, la tua logica ti soccorre e il resto lo fa l’ambiente in cui tutto si svolge. Nel frattempo prendete la strada che porta ai teatri, passate davanti al tempio di Iside e subito dopo entrate nel Foro triangolare. Lì giunti, scendete le scale che affiancano il teatro grande, senza riuscire a comprendere lo scempio fattogli dall’uomo, la vostra mèta è vicina… l’Odeion. Qui l’uomo non ha potuto oltraggiarlo con la sua avidità, le pietre trasudano ancora d’antichi passi, si ha quasi l’impressione di dar fastidio all’uditorio o a qualche mimo che si sta prodigando sul palco. La musica che accompagna lo spettacolo la puoi sentire, quasi come fosse suonata in questo momento, basta sedersi sulla pietra delle scalee e addirittura puoi immaginare l’ampio velario che faceva da copertura all’edificio, mantenendone intatto il pregio. L’incanto di un’anima non percorre da solo la strada che porta all’estasi, no, esso si accompagna con i fertili germogli della fantasia che tutto colora. Ai tuoi pensieri si legano man mano anche quelli di Ginevra, sì, lei ti sapeva uomo facilmente incantato dalle mille cose belle, ma ora che ti ha visto in questi luoghi, ha percepito la tua trascendenza, il tuo correre sopra cieli astrattamente concreti. Ti vede indifeso come un tenero virgulto in balìa di un temporale che sta avvicinandosi e, spinta dal suo istinto materno, ha abbracciato le tue paure e le ha trascinate via. Lunga è la strada che va verso l’ignoto futuro, ma grande è l’abbraccio dell’amore che lei sente crescere in sé, e ne darà a te… il frutto. Ma Giove Pluvio invia di nuovo il suo forte segnale. All’improvviso i pensieri dei due si fermano, violenti scrosci disperdono i viandanti dei ricordi che si danno a fughe invereconde, alla ricerca di una copertura d’ausilio. Entrambi avete trovato posto in un angolo di una porta sotto una piccola copertura in tegole che oggi chiameremmo di cotto. Ginevra sta nell’angolo e tu le sei vicino offrendo le tue spalle alla rabbia della pioggia. Piccole gocce d’acqua piovana trovano spazio tra una tegola e un’altra, finendo la propria corsa sul suo viso e causandone uno spontaneo riso. Ti viene d’impulso il voler fermare la corsa della pioggia che scivola lentamente dalla fronte al naso, proseguendo verso la bocca, allunghi la mano in tasca e prendi il fazzoletto, poi le asciughi il viso. Ti lascia fare, quasi come fosse la spettatrice e non la protagonista di quest’episodio, sente il pezzetto di stoffa che sta seguendo il percorso naturale del suo profilo e s’accorge del timore che hai nel compiere questo semplice gesto. I pensieri, il tempo, la pioggia, la vita, sì, la vita ha la sua rivincita al di sopra di tutte le cose. Vi trovate improvvisamente fuori dalla copertura delle tegole, esposti a tutte le gocce del diluvio uniti in un bacio che niente può fermare. La pioggia scorre nei profondi solchi scavati dal tempo sul basolato di Pompei, e fra le tante meraviglie che bagna, ci siete anche voi, eterno rincorrersi di quell’antica trappola del tempo, che, senza distinzione né rispetto per niente e nessuno, propone una semplice ma immortale storia… l’amore. Due figure unite in una sola sagoma, avvinti da un bacio che non ammette né accetta compromessi, è il miracolo eterno del tempo che si perpetua, e quante altre volte questa scena si ripeterà. Ebbri d’amore e assetati di vita, rincorrono il sogno che da tempo giaceva nelle loro speranze. Ora le ombre prendono corpo, i soggetti diventano concreti. Come lo svegliarsi da un lungo letargo, le loro anime si uniscono ai corpi. Bella è la vita quando ti trovi tra le mani un sogno realizzato ed entrambi vi rendete conto di essere l’uno per l’altra, uniti nelle intenzioni e nello spirito. Le ambasce quotidiane da quel momento risultano essere solo dei lievi momenti che nulla possono contro la loro felicità, e così la vita reale prende il suo corso. mille sono i momenti da vivere insieme, se vivere insieme è l’equazione che porta alla contemplazione di questa felicità che giorno dopo giorno sta ingigantendosi sempre più. E allora viene spontaneo e facile il grande passo, lo sposarsi… cuccioli di cane si azzuffano nei loro giochi e tale è la bellezza di quest’armonia della natura che il paragone sembra quasi non reggere. nessun fastidio, nessun brontolio, sembrano due anime in un corpo solo, si discute su tutto, i problemi vengono presi alla radice e risolti. Le bomboniere, i vestiti, sono mille le risate che nei negozi si fanno, ecco un enorme gioco per due che giocatori non sono, ma solo amanti di loro stessi. Arriva il giorno fatidico e tutto va come deve andare, le foto, il filmino, le loro pose per niente imbarazzati e quella voglia di incontrarsi e stare insieme al più presto. È una gioia osservarli, guardare i loro sguardi che si cercano, mentre il sacerdote benedice la loro unione. Lacrime di gioia fanno capolino dai loro occhi e lentamente guadagnano la strada sui loro volti. sì, sì, ecco la loro parolina che dona l’imprimatur a un sogno. E poi si festeggia, ma qui la festa è in grande, lo scenario è questo meraviglioso angolo di paradiso e certamente il sole non vuole essere da meno nello spettacolo e dona un tramonto da favola. tutto inizia, ecco ora la vita reale, con le sue matasse da sbrogliare, ma Luca e Ginevra sono pronti ad affrontare i loro problemi, col loro solito sistema…affrontare i problemi alla radice e risolverli, e così si sgretolano le problematiche in un sorriso. niente può incrinare un rapporto così solido, e il tempo passa, anzi gli anni passano sulla loro felicità. C’è, però, un neo che dona tanta oscurità ai due…non arrivano figli. Visite mediche, specialistiche e non, santoni da strapazzo che propinano rimedi strani, ma la culla già comprata dai nonni resta tristemente vuota. sono ancora loro, si adorano come non mai, sembra quasi che il problema rafforzi la loro unione, e così distribuiscono sorrisi a tutti quelli che ostinatamente vogliono entrare nel loro privato. Si parla della teoria delle anime gemelle, ecco loro sono la pratica, sono talmente uniti da non sembrare veri, ma entrambi hanno questa spina nel cuore. Gli anni passano, e portano via gli antichi lineamenti, sostituendo la loro bellezza giovanile con un fascino maturo, le rughe non hanno ancora cominciato a scavare i loro volti ma quella mancanza di un figlio li rende schiavi di un dolore sordo. La gioia, però, è un bicchiere colmo d’acqua di pura fonte che è capace di rovesciartisi addosso in men che non si dica. Ecco, per la prima volta Ginevra si è da poco alzata dal letto, Luca sta preparandosi per andare a lavorare ma lei sente strani disturbi e decide di prendersela comoda. Nell’alzarsi di colpo vede il mondo che le gira attorno e pochi secondi dopo giace a terra svenuta. Richiamato dal tonfo, Luca si precipita nella stanza da letto e non poco è lo sgomento di vedere la sua Ginevra esanime. Non si perde d’animo, la prende e la mette sul letto, poi di conseguenza chiama il 118 e comincia ad alzarle le gambe per favorire la circolazione di sangue al cervello. In quattro minuti arriva il 118 e in pochissimo sono in ospedale. Ormai rianimata, e pronta nelle risposte, Ginevra cerca di non drammatizzare questo malessere ma un medico dopo aver visto le analisi e averla visitata le dona qualcosa di inimmaginabile. “Signora lei è incinta”. Da quanto tempo aveva sperato di ascoltare queste parole, le sognava di notte e di giorno, anche a occhi aperti. Luca nel frattempo non riesce a calzare lo stivaletto essendo corso in ospedale con una pantofola e una sola scarpa. Vorrebbe piangere di gioia ma riesce solo a ridere convulsamente, quasi non rendendosi conto del posto in cui si trova, ma scherziamo… sarà padre e già comincia a volare con la fantasia. Esperita la pratica calzolaia, entra in sala e si fa aggiornare dal medico della situazione, poi, non essendoci bisogno del ricovero, invita dolcemente Ginevra ad alzarsi dal lettino, ma senza fare pazzie. È incredibile la quantità di sciocchezze che può partorire la mente umana quando si trova in particolare circostanze, ma è tanta la gioia, la vera felicità che quasi sembra normale a entrambi quel loro modo di fare così strano. Passano i mesi e Ginevra è ormai alle soglie del parto, pochi giorni ancora e poi la bella Penelope metterà gli occhi su questo mondo e sui suoi genitori. Già Penelope, frutto delle reminiscenze dell’odissea, verrà a portare luce in una vita che non ha mai conosciuto ombre. Una mattina, Ginevra deve andare a fare il solito controllo e poi eventualmente decidere quando ricoverarsi. Luca ha un lavoro da fare e ci si mette d’accordo in maniera autonoma, lei si avvia in ospedale con la macchina e Luca appena libero la raggiungerà.
Se volessimo calcolare gli stati emotivi dei due andremmo di sicuro fuori scala, tanta è l’attesa del giorno del parto. Luca, nel frattempo, alla meno peggio sbriga il suo lavoro. Un collega lo sta accompagnando in ospedale quando, all’improvviso, suona il cellulare. È il numero di Ginevra Cosa avrà dimenticato, stavolta? Ma il volto si rabbuia subito nel sentire una voce maschile al cellulare della moglie… salve sono un medico, volevo avvertirla che la signora ha avuto un incidente con l’auto e al momento è ricoverata qui in ospedale, venga presto ma non si preoccupi… è in terapia intensiva al secondo piano. Cosa si può dire quando ricevi una telefonata del genere?
Cosa è successo? Come sta Ginevra? E Penelope?
Gli interrogativi si presentano tutti al tuo cospetto e non è una sensazione piacevole, per niente, nel frattempo si arriva in ospedale e di corsa Luca si inerpica verso il secondo piano. Qui viene bloccato da un infermiere che lo invita a stare calmo e ad attendere un poco in quanto stanno visitando proprio sua moglie. Il tempo si ferma, strane atmosfere sembrano impaurirsi di Luca, le paure, il pensiero che corre verso le ipotesi più nefaste ma anche quel filo di speranza che viene da chi non sa niente di ciò che è successo. L’attesa snervante viene sferzata dall’uscita di un medico, capelli grigi, alto e quella sua altezza non sembra far presagire nulla di buono.
Ecco, mio caro signore, accomodiamoci nella mia stanzetta. A quel tono bonario si associano le paure più grandi.
Beh, voglio essere chiaro, sua moglie ha avuto un incidente con l’auto e l’urto violento le ha fatto sbattere violentemente la testa, al momento è sedata e priva di conoscenza, diciamo che è in coma.
Come si può accettare una parola del genere? Coma???
E cosa vuol dire? Si sveglierà?
Questo può dirvelo solo chi sta al di sopra di tutti noi, per quanto concerne la statistica, essa non offre un quadro ottimista.
E la bambina? Sta per nascere, come sta?
Al momento non abbiamo notato segni vitali… mi dispiace. La luce comincia a girare vorticosamente e sembra non volersi fermare più fino a quando Luca non si abbandona alla resa. Ricoverato immediatamente, è stato preso come si suol dire per un pelo, cinque giorni dopo… viene dimesso.
Eh sì, si è di nuovo rimpadronito dei suoi ricordi… e non è per niente una cosa buona. Il dolore gli si presenta con gli interessi e gli strappa le carni. Vorrebbe piangere, darsi alla disperazione più totale ma qualcosa lo ferma, una lucida follia, la stessa follia che ha determinato gli ultimi fatti, e ora tutta la storia coincide… ecco, la disperazione si è unita alla follia. Si gira sulla sua destra e prende tra le sue la mano di Ginevra che supina gli sta al fianco, inerte, spoglia delle sue gestualità, priva della sua prorompente vitalità e con quel peso davanti che sembra una beffa alla vita che non può più nascere.
Cosa ha fatto, Luca?
Una volta dimesso, si è recato nella terapia intensiva e qui, approfittando del cambio turno e di una serie di incredibili mancanze da parte del personale, si è messo un camice addosso poi, procurandosi una sedia a rotelle, ha slacciato i fili che mantenevano Ginevra in quella vita non vissuta e con fare sicuro l’ha trasportato in macchina tra la confusione di tutti. E ora è lì con lui, muta, con gli occhi chiusi, quasi un oggetto inanimato che dona all’aria piccole parvenze di respiri, faticosi e rantoli fessi. non può ridursi così una vita, non può escludersi dal raggio vitale del tempo, non può distruggersi un sorriso, uno sguardo, un tutto a cui sono legati altri mondi. Il mondo di Luca ora è solo una propaggine di dolore, una miscela di lacrime e rabbia e una sequela di domande inevase… perché proprio a lei? Perché quando il cielo sembrava avesse preso i mille colori della felicità li ha poi cambiati nel più plumbeo nero della tristezza? E Penelope, che delitto ha mai commesso, per andarsene prima di assaggiare il latte del seno della madre e le incerte braccia del padre che anelava a quel momento da anni? Le domande fanno rumore, e si intrufolano nella mente, dando nuove direttive al corpo. Luca scende dall’auto, si avvicina verso l’altra portiera e tra uno sforzo e l’altro prende in braccio Ginevra. il dolore non lo fiacca, anzi gli dona nuove forze, quindi prende sotto la scrosciante pioggia il cammino per il mare. Lungo e pesante è il cammino, affonda i piedi nella sabbia nera e bagnata, li risolleva e continua il suo viaggio verso la battigia. Qui giunto, non si ferma, tutt’altro, e avanza calmo tra le onde che cominciano a salirgli dai piedi in su e va avanti imperturbabile. Il volto è ormai una maschera di pianto e pioggia, ma nella sua lucida pazzia ha un solo obiettivo, il suicidio collettivo, la chiusura di una meravigliosa parentesi di vita nella maniera più eclatante. Il suo passo nell’acqua è fermo ma pesante, e l’acqua del mare gli copre quasi le gambe e già bagna i morbidi e fluenti capelli di Ginevra, quando all’improvviso una voce gli tuona poche parole…
“Non dare la morte ove c’è vita”.
Con le ultime energie rimastegli si gira verso la spiaggia da dove proviene la voce, e tra le lacrime, la pioggia e il dolore, gli sembra d’intravedere un antico soldato forse romano e una luce che viene dalla sabbia. Nel frattempo, l’acqua arriva al volto di Ginevra, che improvvisamente apre gli occhi e lo guarda quasi impaurita, chiamandolo: “Luca… sta arrivando Penelope, dove vai?”
E come si fa a descrivere ciò che passa per la testa di Luca in quel momento, un vulcano in eruzione sarebbe poca cosa al suo confronto. Si ferma, poi si gira e comincia a correre all’impazzata verso la spiaggia, dove tra affanni riesce a poggiare sulla sabbia bagnata il suo carico di felicità. Trafelato si guarda attorno ma non vede alcun soldato romano, ma ode perfettamente Ginevra che gli annuncia tra grida di dolorosa gioia che le si sono rotte le acque.
Non ha il tempo di domandarsi cosa fare che arrivano sulla spiaggia alcuni componenti del 118 accompagnati dai Carabinieri. Sì, hanno avviato subito le ricerche al momento della sparizione della paziente e ora l’hanno rintracciato. Da non credere ciò che succede. Il medico si rende conto subito della non trasportabilità di Ginevra e comincia a intervenire sulla puerpera, dandole consigli sulla respirazione, gli infermieri collaborano attivamente, cercando di coprirli dalla pioggia, ma solo per poco.
Il cielo comprende che deve collaborare anch’esso e sospende la sua malinconia dando luce e colori al giorno.
Nel frattempo i Carabinieri hanno il bel da fare nel trattenere la gente, che passando dalla strada prospiciente hanno notato il trambusto e si fermano a curiosare, una signora scende dall’auto e con un plaid in mano corre verso il luogo dove sta verificandosi il miracolo. Ginevra ormai stesa sulla barella, poggiata sulla sabbia, attorniata da tanto amore, dà l’ultima spinta… Penelope è nata.
Luca è in trance, ormai non si rende più conto della realtà, la gente lo attornia e gli si congratula, ma lui ha occhio solo per i suoi gioielli, ora stringe di nuovo la mano di Ginevra, ma questa volta è la mano della vita che ritorna.
Poi… l’atto atteso da anni, il pianto più dolce che uomo possa ascoltare… quel batuffolo di gioia presente e futura è tra le sue braccia. ogni cosa torna reale. Ora bisogna correre all’ospedale per completare il tutto e fornire le necessarie cure alla donna e alla bambina. Cosa dire? La gente gli si accalca attorno, la felicità è un virus che può diffondersi in un batter d’occhio e così avviene, arriva alla sua macchina e il capopattuglia del Carabinieri gli si avvicina. Lei è consapevole di aver agito in maniera difforme? Allora appena rientra a casa la verremo a trovare per portare un regalino alla sua bambina, a proposito come la chiamerete? Flebilmente un filo di voce si fa largo tra i singulti. “Penelope”. Bellissimo nome, molto antico, allora la saluto, di nuovo auguri. Grazie. Mi scusi, ma cosa ci faceva un soldato romano sulla spiaggia? Maresciallo, lo ha visto anche lei? Sì e c’era una luce che veniva dalla sabbia e illuminava tutto. Guardando in cielo, comincia a capire ciò che non capirà mai.
Ecco, cosa è successo?
Chi era quel soldato romano? Cos’era quella luce?
Come mai tutto è cambiato?
E allora torniamo indietro di qualche secolo, quasi duemila anni fa, e cerchiamo di comprendere …