Giggino e Matteo sembrano dei ragazzini delle elementari pronti, per divertimento, a litigar su tutto. Ma guai a chi prova a togliere loro il giocattolo preferito. Diventano delle belve pronte ad addentare. E non solo.
Di Maio e Salvini bambinelli non sono, litigano sul serio ma il “giocattolo” che si chiama “potere” non lo mollano. Tutte le scuse sono buone per non lasciare l’ambita dimora di Palazzo Chigi. Tra i due a mediare c’è un “avvocato” che sembra fatto apposta per interpretare la parte del “paciere”, del “saggio”, nelle sceneggiate napoletane care a Mario Merola.
Stavolta il litigio è su un personaggio non di secondo piano. Il sottosegretario leghista al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Armando Siri, indagato per corruzione, che i grillini vorrebbero far dimettere. Ma il Matteo padano non ci sta. Non ha nessuna intenzione di mandare a casa Siri, anche per una questione d’immagine, ma soprattutto per non darla vinta ai 5Stelle. Il “congedo” di Siri significherebbe, per il Carroccio, ammettere che qualcosa di vero c’è nelle accuse rivolte al sottosegretario. Quindi, in questa fase, guerra ad oltranza contro il giustizialista Giggino che, invece di pensare all’Armando leghista, guardasse un po’ in casa sua, nella Roma guidata dall’incapace – e via dicendo – Virginia Raggi. E se le cose dovessero precipitare per Siri? Il piano Salvini già l’ha sicuramente “architettato”. Il sottosegretario sarebbe scaricato d’emblée, con l’assordante suono retorico della grancassa sovranista su: “chi sbaglia paga”, eccome se paga! Cosa molto diversa da ciò che avviene negli altri partiti, Pentastellati in primis.
Il Capitano padano è quasi convinto che la “questione” Siri non travalicherà gli attuali confini. E, quindi, continuerà a sostenere l’intoccabilità del sottosegretario che nel suo passato ha all’attivo una condanna ad un anno e otto mesi di reclusione, patteggiata nel 2014, per bancarotta fraudolenta. C’è pure a suo carico un’elusione fiscale per un valore di centosessantaduemila euro. Certo, sotto sotto, Matteo è incavolato per non aver valutato con scrupolosa attenzione il passato di Siri, che comunque sta creando problemi a lui ed al partito.
Giggino Di Maio, nell’ultimo periodo, a ogni piè sospinto ha sparato ad alzo zero sulla necessità delle dimissioni del sottosegretario del Carroccio. Convinto, comunque, che il tosto sovranista capitano della Lega mai e poi mai avrebbe fatto dimettere un suo uomo.
Pare che ultimamente il capo politico dei grillini abbia cambiato tattica nella vicenda Siri. Se fai il braccio di ferro per troppo tempo senza avere risultati il rischio grosso è che l’opinione pubblica si stanchi di sentire le “stesse cose”, le identiche accusa. E c’è il serio rischio dell’ammorbamento. E cioè che a sentir la solita cantilena delle dimissioni, dell’onestà, della giustizia sullo stesso soggetto il cittadino s’infastidisca, si disinteressi. Peggio, si “scocci”.
Troppo pericoloso buttare alle ortiche, proprio vicinissimo alle elezioni europee dove si prevede che la Lega faccia super-Bingo, una carta che potrebbe far saltare il banco, insieme ad altre possibili – e soprattutto auspicate – evenienze. E, allora, per i grillini, basta per il momento utilizzare la cantilena su Siri e le sue dimissioni. La data delle elezioni s’avvicina. Meglio centellinare i motivi del dissenso, tanti, che separano i 5Stelle dal Carroccio leghista. Si va dal proliferare delle armi, alla richiesta salviniana di “autonomia” che penalizzerebbe diverse regioni del Sud. C’è poi, secondo Di Maio, il concetto “sbagliato e a cui ci opponiamo” di famiglia e del ruolo della donna, ma anche le alleanze del Carroccio in Europa “assolutamente non condivisibili”. Salvini però agli attacchi grillini fa spallucce, non commenta, lui non ha tempo per le polemiche perché è tutto impegnato a “lavorare per l’Italia”. E, comunque, sotto sotto porta a casa le cose che gl’interessano. Ad esempio la nomina a prefetto di Roma di Gerarda Pantalone, finora responsabile della Direzione Immigrazione del Viminale, che ha gestito la politica dei “porti chiusi”.
Doveva essere decisivo il previsto “faccia a faccia” tra il capo del governo ed il sottosegretario Siri, richiesto da Conte prima di decidere se firmare o meno il decreto di dimissioni. L’incontro c’è stato ma non si conoscono ancora i contenuti del “faccia a faccia”. Con molta probabilità, al di là degli strilli di Giggino, ancora una volta il Matteo padano l’avrà vinta, sempre che la posizione di Siri non peggiori.
Elia Fiorillo