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Pompei: bracciali e collane, la vanità femminile nei secoli

Vanity: storie di gioielli dalle Cicladi a Pompei. Ovvero il confronto tra i gioielli e il lusso delle Cicladi, isole del Mediterraneo dislocate  tra Grecia e Turchia, e Pompei, scrigno di tesori di epoca romana. Non solo. le gioie, i monili,

 

le ambre e lavori in osso e avorio, i bronzi, provengo anche da Terzigno, Paestum, Ercolano, Oplontis, Longola di Poggiomarino, oltre che dagli scavi che da anni interessano l’Eforia ovvero la Soprintendenza delle isole Cicladi.

Insomma la mostra, che apre domani a Pompei, nella Grande Palestra, dove resterà vistabile sino al 5 agosto 2019,  mette l’accento anche sulla maestria straordinaria dell’artigianato artistico oltre che sulla vanità della donna in generale. Trecento, circa, i pezzi in esposizione all’interno di “box – casette” di  colore nero, che secondo gli allestitori del percorso espositivo, “Kois Associated Architects”, evidenziano il contrasto tra il materiale oscuro degli involucri espositivi e la lucentezza dei preziosi esposti.

“Pompei e Delos – spiega la direttrice a interim del Parco, Alfonsina Russo – hanno vissuto un’epoca d’oro molto simile introno al II secolo avanti Cristo. Il cui benessere e prosperità e mostrato dai gioielli prodotti in quel periodo, esposti in mostra”. «Qui è veramente interessante – sottolinea Massimo Osanna, curatore dell’esposizione –  incrociare la storia dei gioielli dell’area mediterranea. Attraverso di essi si capisce l’appartenenza alla classe sociale». «I gioielli delle Cicladi – racconta dal canto sua Demetrios Athasoulis, soprintendente del sito delle Cicladi – e da Delos, offrono una panoramica molto varia sia per la cronologia sia per la provenienza: tombe, santuari, centri abitati».

I più interessanti, per sfarzo e bellezza, sono sia i gioielli provenienti da Delos sia quelli pompeiani (il “bracciale d’oro” ritrovato nella casa che dall’oggetto prese il nome) i pezzi scavi a Murecine, le gioie della villa “B” di Oplontis, e una selezione di quelli trovati sugli scheletri degli ercolanesi uccisi dalle nuvole infuocate del Vesuvio, sotto i fornici, sulla marina di Ercolano antica, dove pensavano di potersi salvare.

Giuseppe Marino

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