Il venerdì letterario presso la Libreria Mondadori di Castellammare di Stabia, sita in via Santa Maria dell’Orto e gestita da Giuseppe Carotenuto, è divenuto un piacevole must. Il rendez-vous all’insegna della cultura basato sulle novità editoriali,
impeccabilmente coordinato da Pierluigi Fiorenza, ha visto questa settimana come ospite lo scrittore napoletano Massimo Taras con la presentazione del suo ultimo cimento dal titolo “La ragazza del triangolo bianco”, edito da Bertoni.
Di fronte ad una platea partecipativa, l’autore ha parlato del suo romanzo, intervallando la discussione con la lettura di alcune parti di esso, in collaborazione con l’editor Marilù D’Amore. Il lavoro di Massimo Taras ha gli stilemi classici del romanzo storico ma, al contempo, si snoda altresì come romanzo d’amore e amicizia.
La protagonista femminile è la giovane Sara, rinchiusa in un campo di transito tedesco del nord Italia, realmente esistito nella zona di Bolzano, ai tempi della seconda guerra mondiale. Il protagonista maschile è invece Stefan Hoffmann, ufficiale nazista e comandante del campo, combattuto tra i sentimenti di amicizia e amore per la ragazza e quelli della “ragion di stato”, legati al proprio dovere militare e al ruolo che deve incarnare.
Il romanzo è inquadrato come una sorta di finestra sul mondo in distruzione e in dissolvenza, relativamente a un periodo critico della storia dove, al centro della narrazione, c’è l’ufficiale Stefan che ama la ragazza. L’amore riuscirà a vincere? Questo l’interrogativo che sarà sviscerato nel corso della vicenda romanzata.
Il romanzo è improntato sull’intervista dell’ufficiale ormai in pensione a distanza di tempo, che vuole chiudere con il suo passato, in una sorta di flash back con l’inferno dei lager.
Ma cosa significa il “triangolo bianco”?
“Era un simbolo che i nazisti avevano per gli ostaggi come Sara. Lei è presa in ostaggio per costringere il fratello Lorenzo, partigiano, a consegnarsi loro“- spiega Taras.
Perché l’espediente dell’intervista?
“I fatti risalgono al biennio 1943-1945, poi ci troviamo nel 1970, allorquando l’ex ufficiale viene intervistato dal giovane giornalista Dave Wilson, inviato di un giornale inglese. È un metodo che ho utilizzato per riportare dolcemente il lettore indietro nel tempo e far rivivere la storia sui ricordi”.
L’autore poi fornisce altri spunti sui protagonisti del romanzo.
“Stefan Hoffmann desiderava appartenere a quella élite del partito nazionalsocialista.
Subisce poi una trasformazione in questo campo lager, per cui era stato scelto come comandante visto che parlava bene l’italiano. Infatti aveva una nonna che viveva in un borgo vicino Firenze, dove era solito passare le sue vacanze da giovane. Proprio allora conosce Sara e il fratello, incontrando poi a distanza di tempo la ragazza nel campo di transito, quando scoppiò la guerra e lui si arruola”.
In alcuni passi letti dell’intervista su cui si incentra e si dipana la storia, si percepisce lo stato d’animo del protagonista, attraverso le sue parole, a distanza di anni e della sua presa di coscienza dell’inferno dei lager, anelando quasi ad una redenzione. L’intervista con il giovane giornalista va avanti per giorni, assurgendo anche a toni talvolta drammatici.
“…Era impossibile non sapere. Era una gara di menzogne… È nella natura dell’uomo nascondere le verità scomode…
La mia risposta è no, non posso perdonare il mio popolo”.
Perché ha scritto questo libro?
“Ho voluto dedicarlo ala memoria di mio padre che ha vissuto realmente l’esperienza come prigioniero per tre anni in un campo tedesco.
Fu rinchiuso in un capannone per essere fucilato assieme a 200 persone.
Era veterinario e scoppiò un’epidemia di cavalli e muli. Lui così si salvò proprio per la sua professione per risolvere quella situazione con la collaborazione dei suoi compagni, di cui chiese l’assistenza, salvandoli a loro volta”.
Lo scrittore napoletano di adozione ci racconta poi qualcosa anche sulla genesi del libro, che ha interessato molto le scuole, contribuendo a incrementare il livello di conoscenza degli studenti circa quel particolare periodo storico e sulle efferatezze vissute nei lager, che non possono essere dimenticate.
“Per scrivere questo libro ho fatto molte ricerche. Ho dovuto spegnere il PC per disintossicarmi”- confessa Taras, che si definisce un “contadino della penna, per una professione bellissima quale è quella dello scrittore. Nei miei libri sono anche io presente vicino ai personaggi, quasi seguendoli passo passo. Sono quasi loro stessi che scrivono il romanzo”.
Massimo Taras non si sbilancia sul finale.
“Il romanzo può essere visto come un inno alla vita? Sì, è così. Ma non vorrei fare spoiler lasciando al lettore il piacere di viverlo soprattutto come romanzo d’amore”.
“La ragazza del triangolo bianco” è stato in concorso al premio internazionale di Letteratura città di Como, ed è in concorso attualmente anche in due importanti premi letterari quali il Campiello e lo Strega.
Taras, che ha anche scritto “Gli anni di Giulia“, rivela potenziali progetti di trasposizione in film o fiction del proprio romanzo.
“Non dipende da me. C’è comunque un certo interesse in merito, ho inviato il mio ultimo libro a qualche sceneggiatore, sarebbe bello vedere la storia sul piccolo o grande schermo, in quanto essa si presta a questo ulteriore sviluppo”.
Domenico Ferraro