Latouche a Napoli: decrescita e beni comuni

Per smarcarsi dalla pulsione feticista e mortifera del possesso e veleggiare verso l'Altro

Mercoledì 15 maggio dalle ore 18:00 a l’Asilo vico Giuseppe Maffei incontro pubblico con Serge Latouche sulla decrescita felice e i suoi precursori.
Modera Renato Briganti, professore aggregato di

 

Istituzioni di Diritto pubblico presso il Dipartimento di Economia e di Diritto dell’ambiente presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, nonché volontario di Mani Tese Napoli.

Latouche incontra il pubblico all’Asilo per presentare i precursori dell’ormai celebre decrescita felice, rivelando la sua condizione di nano sulle spalle di giganti.

Lanciata a mo’ di slogan politico provocatorio nel 2001/02, dal professore (oggi) emerito di Scienze economiche all’Università di Paris-Sud per arginare i sostenitori del produttivismo a tutti i costi e dell’ipersviluppismo ostinato, la decrescita vuole opporsi all’insensatezza della cancerosa crescita per la crescita, cannibale in un mondo dalle risorse finite. Il prezzo psicologico della massimizzazione del profitto lo conosciamo bene: una banda di eterni insoddisfatti, adoratori della ragion borghese, che si arrabattano come criceti su tapis roulant, accecati dalle sirene dei bisogni indotti di beni di consumo (sempre più rapidi all’obsolescenza ma più lenti allo smaltimento) che l’offerta globale garantisce in rialzo costante.

Latouche chiama a raccolta una fitta schiera di autorevoli insospettabili contronarratori, le cui lezioni indicano una possibile via di fuga dall’onnimercantilizzazione del mondo: questi numi tutelari vanno dai socialisti utopistici (Friedrich Engels, William Morris, Charles Fourier, Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi, Robert Owen) ai pensatori anarchici (Pierre-Joseph Proudhon, Michail A. Bakunin, Pëtr A. Kropotkin o Henry D. Thoreau), guide etiche cui fanno seguito i fondatori dell’ecologia politica (Ivan Illich, Cornelius Castoriadis, André Gorz, Jacques Ellul, Bernard Charbonneau, François Partant, Nicholas Georgescu-Roegen, Lanza del Vasto) cui non potevano mancare i grandi amici dell’umanità (Lev N. Tolstoj, Jean Giono, René Barjavel, Georges Bernanos, Simone Weil, Alex Langer, Laura Conti, Enrico Berlinguer, Tiziano Terzani, Pier Paolo Pasolini), tutti sostenitori dell’idea che la vita, anche in pieno Antropocene, debba avere un senso ulteriore all’autistico godimento materiale, smarcarsi dalla pulsione feticista e mortifera del possesso, per veleggiare verso l’Altro (sia umano che animale che vegetale), specialmente gli ultimi, gli esclusi, gli indesiderati.

Con Latouche immaginiamo una crescita selettiva e rispettosa, oltre che sostenibile, decolonizziamo il nostro immaginario dall’idea chela storia è finita e non ci sono più alternative, che il progresso coincide con

lo sviluppo, che l’uomo può essere ridotto a una sola dimensione e torniamo cercatori di un senso da conferire alle nostre vite che sia altro e nostro. Ché la felicità non si può monetizzare, e più che il ben-essere bisognerebbe porsi il problema del bem-vivir.

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