La storia è proprio di quelle brutte assai che dal piano personale arriva a screditare un’intera categoria. Se chiedi ai cittadini cosa pensano della politica e dei suoi attori nel migliori dei casi t’arriva una significativa boccaccia. Certo, anche sulla magistratura la risposta è del tipo: “sono tutti uguali”, o giù di lì, ma con un pizzico di credibilità superiore ai politici. Dopo la vicenda del PM romano Luca Palamara il rischio che si corre e che la gente passi dalle boccacce alle pernacchie, indistinte però.
Va precisato, a scanso di equivoci e generalizzazioni, che sono tanti i politici e i magistrati che fanno il loro difficile lavoro con “scienza, coscienza e onestà”, sacrificando la propria esistenza per la “missione” che hanno intrapreso. Ci sono poi i “lestofanti”, per non apostrofarli in altro e probabilmente più significativo appellativo, il cui unico interesse è, in tutti i modi possibili, l’arricchimento personale, lo sfruttamento del proprio ruolo nell’ottica familistica amorale. E sono questi ultimi, con le loro gesta, a fare notizia. A riempire le cronache dei giornali spruzzando fango su intere categorie.
La storia di Luca Palamara, componente del Consiglio Superiore della Magistratura dal 2014 al 2017 ed esponente di spicco dell’Associazione nazionale magistrati, è particolarmente significativa per la cupidigia dei suoi comportamenti. I PM della Procura della Repubblica di Perugia, Gemma Miliani e Mario Formisano, indagano Palamara per corruzione. La lista degli illeciti commessi dal giudice è lunga, c’è anche lo “scroccaggio” di viaggi per “favori” fatti. Il nostro personaggio arriva perfino a farsi “regalare” un solitario del costo di duemila euro da donare alla sua compagna. Al di là del ladrocinio, una vera e propria mancanza di stile che qualifica, nello squalificarlo totalmente, il soggetto in questione. C’è poi il killeraggio spietato verso i “colleghi” scomodi o concorrenti. Per non parlare della vendita delle nomine nei Palazzi di giustizia (sic) al costo di quarantamila euro. Ma c’è di più. Il combattimento dietro le quinte, con tutti i mezzi diffamatori possibili, contro i nemici magistrati avversari.
Uno dei modelli da abbattere era quello creato a Roma dal giudice Giuseppe Pignatore che era riuscito a trasformare “il porto delle nebbie” della giustizia romana, in “porto sicuro” dove la trasparenza era al di sopra di tutto. Si può ben immaginare quanti “danni” ai creatori di nebbie artificiali il metodo Pignatone abbia arrecato. E, per converso, quanti colpi bassi sono stati inferti per far saltare il muro della “giustizia giusta”, nel senso di non manipolata, non indirizzata verso gli interessi di qualche parte “pagante”. Una volta che Pignatone ha lasciato il proprio posto per raggiunti limiti d’età i costruttori dei “porti delle nebbie” si sono dati subito da fare per sostituire il “rompicoglioni” con soggetti pronti a promettere lauti compensi prima per essere nominati eppoi, successivamente, pronti a manovrare le sentenza a seconda dei comandi ricevuti.
Nel mese di maggio, per definire la successione, in un albergo della Capitale viene convocata una riunione ad hoc. All’incontro partecipano, oltre a Palamara, due parlamentari del Pd, Luca Lotti e Cosimo Ferri, e cinque consiglieri del Csm. In particolare Palamara ha un conto da saldare anche con l’aggiunto di Pignatone, Paolo Ielo, che aveva trasmesso ai PM di Perugia gli atti sulle sue presunte azioni corruttive. Insomma, una vera cabina di regia quella costruita dall’ex componente del Csm per condizionare il Consiglio, per determinare a vantaggio degli “amici” sentenze, per “distruggere” in tutti i modi possibili gli avversari.
Il vero dramma è che Luca Palamara nei suoi traffici ha coinvolto molti componenti del CSM che così, al di là delle dimissioni di alcuni consiglieri più direttamente coinvolti nella vicenda, ne esce delegittimato. Si può ben immaginare lo stato d’animo del presidente della Repubblica che è anche presidente del CSM. Ci troviamo difronte alla caduta di uno degli organi più importanti, vitali, di garanzia della nostra Repubblica. Ma, come si suol dire, “non tutti i mali vengono per nuocere”. E’ venuto il momento di fare una riflessione seria sulla “giustizia”, come abbiamo visto molto vulnerabile, e sui suoi organismi. Assolutamente non per condizionarla ma per rafforzarla nella totale autonomia.
Comunque, al di là delle dimissioni dei vari componenti del CSM discussi, forse è il caso di rinnovare totalmente questo Consiglio.
Elia Fiorillo