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L’inferno dei migranti detenuti in Libia

Migrants look out from behind the bars of a cell at the detention centre in Garian, Libya, Tuesday 31 January 2017. The Garian detention centre, located 70 kilometres south of Tripoli, was constructed in 2006 following an agreement between the Italian and Libyan governments in an attempt to stem the flow of migrants reaching Italy. When UNICEF visited the centre on 31 January 2017, the population consisted of 27 women (four of whom were pregnant), one 11-month old child, a four year old, as well as 1,352 men - of which 250 were under the age of 16. The centre is at the crossroads of areas controlled by different militias fighting with each other: the Warshafana, the militias of Tripoli and the militias who support Haftar in Benghazi. For this reason it is a very dangerous centre, for officers who work there and for migrants in detention. The detention centre is currently managed by the Libyan National Army, and most migrants remain there for a period of 8 to 10 months according to the manager Abdalhamad Altunisa. "Children are often alone, they cross 2000 kilometres of desert without their families, and they are rescued at sea without documentsî, said Altunisia ìthis makes it difficult for us to know their real nationality and age. Before 2014 we brought them back to the border between Nigeria and Libya to take them back to their countries, but after the last civil war it was much more difficult. Those areas are dangerous even for usî. Migrants who were being held in the cells said they are rarely allowed out. Many of the those being held are sick, and some detainees are said to have passed away because they have no access to medical care. The director of the centre, Altunisa, said "the official government [of Sarraj] does not give us the money to pay salaries and to pay those who bring us food. So often we do not have enough food or drinking water. This winter was particularly cold and in recent weeks 15 migrants froze to death."Libya is a country in turm

Agricoltura, edilizia, lavori domestici, prostituzione. In Libia i migranti rinchiusi nei centri di detenzione ufficiali sono costretti a lavorare per i datori di lavoro senza ricevere nessuna retribuzione e con la complicità delle autorità.

“Regolarmente i libici vengono a prenderci in prigione e ci costringono a lavorare per loro”, ha detto ad InfoMigrants  John *, un emigrato eritreo intrappolato nel centro di detenzione ufficiale di Zintan, a sud di Tripoli. “Quando ero nel centro di detenzione di Tarek-el-Matar aTripoli,  uomini armati hanno scelto tra noi persone per costringerle a lavorare”,  ha detto a sua volta Landry, un migrante camerunense che vive oggi in Tunisia. “Lavoriamo dalle 8 del mattino al tramonto”.

InfoMigrants ha raccolto molte testimonianze che raccontano la stessa storia: datori di lavoro libici che entrano nei centri ufficiali, con la complicità delle guardie, per scegliere diversi migranti e costringerli a lavorare tutto il giorno. Alla sera, vengono ridistribuiti nei centri – veri e propri campi di concentramento -senza ricevere alcun compenso.

Ci sono 16 centri di detenzione ufficiali in Libia con una popolazione rinchiusa di circa 6.000 migranti, secondo le stime di Amnesty International diffuse alla fine del 2018. Qui vengono inviati i migranti intercettati in mare dalla guardia costiera libica.

“Lavoriamo dalle 8 del mattino al tramonto, e se il compito non è finito, possono costringerci a lavorare tutta la notte”, dice Landry.

Questa manodopera gratuita è quindi requisito per lavorare nella costruzione di edifici, in oliveti o nella raccolta del pomodoro, in agricoltura ma anche per lavori domestici. Le donne sono costrette a prostituirsi oppure a svolgere lavori domestici in case private.

“Ne abbiamo sentito parlare sui social media, ma non abbiamo la conferma che esiste”, ha detto Safa Msehli dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) in Libia

Questo fenomeno non è nuovo, comunque. È stato documentato per oltre due anni. Un rapporto dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNCHR) e della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Manul),

pubblicato alla fine del 2016, riportava già il lavoro forzato nei centri di detenzione gestiti dalle autorità libiche. I migranti “sono stati costretti a lavorare per accumulare abbastanza denaro da usare, poi, per uscire dalla detenzione”. Dopo aver lavorato tutto il giorno, alcuni sono riportati ai centri , mentre altri sono trattenuti sul posto di lavoro per settimane o mesi “, scrivono gli autori del rapporto.

Nel dicembre 2018, un rapporto prodotto dalle stesse istituzioni ribadisce le osservazioni del 2016: “Gli uomini migranti e rifugiati vengono regolarmente rimossi dalla prigionia per eseguire il lavoro manuale forzato […]”, si legge nel documento.

Questi lavori forzati sono, per definizione, eseguiti sotto minaccia. “Se ci rifiutiamo di seguirli, ci torturano, a volte ci uccidono”, ha detto Moussa, un camerunense che ha attraversato il centro di detenzione di Zouara, a ovest di Tripoli. “Quando lavoravo nei campi, gli uomini armati controllavano ciò che stavamo facendo, e se non gli andava bene o se ci fossimo fermati per qualche minuto, ci colpivano”, dice Landry.

Parlano anche di privazioni alimentari durante la loro giornata di lavoro sotto il caldo sole della Libia. “Ci danno solo un pezzo di pane e acqua”, lamenta John, ancora chiuso nel centro di Zintan. “Il lavoro è molto duro, alcune persone spesso svengono.”

Le autorità legittimano questa pratica

Come vengono scelti i migranti dagli agricoltori? Spesso si scelgono le persone più forti fisicamente. “Se non sei forte in Libia, sei morto “, ricorda Moussa.

Il camerunese spiega anche che i “vecchi” hanno maggiori probabilità di essere sfruttati. “Le guardie, infatti, sperano che i nuovi arrivati ​​possano ottenere i soldi dalle loro famiglie per pagare il loro rilascio, quindi preferiscono

mandare i più anziani ai lavori forzati perché sanno che non hanno possibilità di riscattare la loro liberazione”. In altre parole, i vecchi non rappresentano alcun interesse finanziario per i gestori dei centri di detenzione e sono quindi alla mercé dei trafficanti.

“Le autorità legittimano questa pratica”, ha detto Hassiba Hadj-Sahraoui, consulente per gli affari umanitari a Medici Senza Frontiere (MSF). “I datori di lavoro prendono accordi con le guardie carcerarie e spesso ricevono denaro dai trafficanti in cambio di manodopera gratuita”. Secondo lei, i centri di detenzione sono una fonte di reddito per molti libici. “Tutti fanno soldi alle spalle dei migranti a tutti i livelli, il che spiega in parte perché questi centri esistono ancora”.

Il sistema di detenzione libico è in realtà un sistema operativo di sfruttamento

Il lavoro forzato non è limitato all’esterno delle carceri. Anche all’interno dei centri di detenzione alcuni migranti sono sfruttati dal personale. “Ho dovuto aprire i cessi del centro a mani nude, ma sono stato anche costretto a scaricare le armi in un

magazzino situato a pochi metri dalla prigione”, afferma Landry.

Una pratica confermata nel rapporto del 2018 di HCDC e Manul. Secondo gli autori, i migranti sono costretti a lavorare “all’interno delle strutture, nella pulizia, nella cucina, nello scarico di oggetti pesanti e nel lavaggio dei veicoli dei funzionari DCIM [ Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale]. “Il sistema di detenzione libico è in realtà un sistema di sfruttamento”, lamenta Hassiba Hadj-Sahraoui.

Nel 2016 l’Unione Europea ha firmato un accordo con la Libia per fornire supporto logistico e materiale alla guardia costiera libica. Per le ONG, questo accordo rende gli stati europei complici degli abusi commessi contro i migranti in Libia. All’inizio di questa settimana, un gruppo di avvocati ha presentato una denuncia alla Corte Penale Internazionale (ICC) contro l’Unione Europea per “crimini contro l’umanità”.

* Il nome è stato cambiato

Fonte: InfoMigrants

Traduzione: Vian

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