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Cgil: Mezzogiorno scomparso dall’agenda politica

“Benvenuti a questa importante iniziativa che come Cgil abbiamo il piacere di ospitare, nella convinzione profonda che, nel pieno rispetto dei ruoli e delle funzioni di un Mezzogiorno che resta plurale, con tante soggettività economiche e sociali, Napoli abbia comunque un ruolo particolare. Se non altro per la sua storia, per la sua centralità, per la sua dimensione, sociale ed economica, senza la

 

quale è difficile immaginare qualsiasi processo di crescita. Una crescita che nel mondo, in Europa non a caso è sempre trainata dai grandi processi di riconversione, di rilancio produttivo, economico, sociale, urbanistico delle grandi città. E’ importante ospitare a Napoli la riflessione di questa Alleanza, che salutiamo con grande favore, di soggetti anch’essi plurali che però hanno un denominatore comune, che è l’attenzione ai temi del Mezzogiorno, che per il nostro Paese sono temi cruciali”.

Lo ha detto il segretario generale della Cgil di Napoli, Walter Schiavella, aprendo il convegno “Il coccodrillo si è affogato. Mezzogiorno al bivio” promosso dall’Alleanza degli Istituti Meridionalisti nella sede della Cgil partenopea.

“Il Mezzogiorno, nel Paese, è scomparso da troppo tempo. E’ scomparso – ha precisato Schiavella – dal dibattito, è scomparso dall’attenzione dei riflettori ma soprattutto è scomparso dalla costruzione di provvedimenti, di interventi concreti che fossero capaci di fare del Mezzogiorno quello che il Mezzogiorno deve essere: una delle due gambe sulle quali il nostro Paese deve camminare. Continuiamo a saltellare. La crescita del Paese sarà sempre dimezzata fino a quando metà del Paese non crescerà. E fino a quando si pensa di intervenire con strumenti uguali su condizioni diseguali, quello che appare come un provvedimento di eguaglianza, eguaglianza non è. Allarga solo le distanze. Ma qui si è fatto addirittura peggio.

Si è intervenuto nel corso della crisi nel primo ventennio di questo nuovo secolo con strumenti che addirittura sono stati diseguali a scapito della parte meno forte del Paese. Questo vale sia in tema di investimenti fissi lordi, sia in tema di trasferimenti correnti, con meccanismi perequativi distorti, con meccanismi di scelta politica delle priorità di intervento (penso soprattutto al terreno delle infrastrutture delle città) che hanno fortemente penalizzato il Mezzogiorno e i suoi cittadini. Basta vedere i diritti che la Costituzione riconosce uguali e che invece oggi, nella fruizione materiale, sono profondamente differenti fra le diverse aree del Paese, se parliamo di diritto alla salute, di diritto all’istruzione, di tutela dell’infanzia o degli anziani”.

“Quindi – ha aggiunto Schiavella – noi partiamo da una condizione nella quale il Mezzogiorno non solo è scomparso dalla scena politica nazionale, ma in questa scomparsa si è consumato un ennesimo danno a svantaggio del Mezzogiorno. Quindi tutto quello che è utile per accendere i riflettori, anche in termini di analisi, di conoscenza, di ricerca è assolutamente importante e fondamentale. Per questo il plauso per questa iniziativa non è formale ma sostanziale. Noi pensiamo, anche con il concorso del nostro istituto, alla possibilità di sviluppare una interlocuzione che penso possa essere proficua e articolata. Oggi abbiamo di fronte una sfida che è fondamentale ed è su questa situazione che ho rapidamente descritto, facilmente evidenziata dai dati che conoscete meglio di me, che dobbiamo agire”.

“Mi soffermo – ha continuato Schiavella – sui rischi che su questa situazione incombono in termini di prospettive. Sul terreno economico i rischi sono forti e gravi, nel momento in cui un Paese fortemente indebitato si approccia al confronto con l’Unione Europea nei termini con i quali si sta approcciando, mettendo a rischio una delle poche risorse che ancora arrivano nel Mezzogiorno, che sono i fondi strutturali, e soprattutto attivando meccanismi che finiscono col penalizzare ulteriormente i cittadini del Mezzogiorno. In particolare è evidente che ci troviamo di fronte ad un quadro nel quale le scelte di politica economica che si stanno ipotizzando finiranno col penalizzare ulteriormente questa parte del Paese. Se si applicasse la flat-tax come la immaginano sui redditi da lavoratori dipendente oltre che sulle partite Iva, per una ragione semplice economica, i maggiori vantaggi andrebbero in capo a chi ha redditi medi più alti”.

“La crisi che abbiamo attraversato – secondo Schiavella – non ha prodotto soltanto una riduzione complessiva dei valori economici, ma anche un aumento forte delle diseguaglianze. Tanto più le diseguaglianze sono aumentate, tanto più la crisi è stata forte, perché c’è un rapporto stretto fra diseguaglianze e crescita economica. Tanto è maggiore la diseguaglianza, tanto è minore la crescita economica. La prima diseguaglianza da colmare è proprio quella tra Nord e Sud del Paese. Ma sapendo che anche all’interno delle stesse aree esistono diseguaglianze forti, che vanno colmate attraverso politiche adeguate, che hanno bisogno di investimenti sulla coesione sociale. Qui tocchiamo un altro punto di enorme gravità. Quello di una riduzione dei trasferimenti complessivi a danno dei Comuni e, in particolare, dei Comuni del Mezzogiorno, con meccanismi distorti che non tengono conto del bisogno ma della spesa storica. E questo genera una situazione di grave disagio. Al di là del giudizio sulla qualità amministrativa dei Comuni interessati, c’è un dato oggettivo dal quale non possiamo discostarci: il livello di frontiera nella costruzione di politiche di integrazione e di coesione sociale che è proprio dei Comuni è quello maggiormente penalizzato dalle politiche di riduzione dei trasferimenti”.

“L’ultimo elemento di riflessione – ha detto ancora Schiavella – riguarda la prospettiva che abbiamo di fronte in termini di assetto dei poteri all’interno del nostro apparato istituzionale. L’attuale declinazione del Titolo V della Costituzione ci mette di fronte a dei rischi che si stanno concretizzando nei progetti di autonomia differenziata fortemente voluti non a caso dalle Regioni più forti del Paese: Lombardia, Veneto e, seppur con forme diverse, Emilia Romagna. Quei progetti sono devastanti per la tenuta del Paese, tanto più se letti insieme al quadro che ho provato a descrivere in termini di prospettiva e al quadro economico e sociale che la crisi ci ha consegnato, dove il Mezzogiorno esce più povero e con una crescita più lenta di quella di altre parti del Paese. Quel progetto è un progetto devastante, non solo perché ripropone una logica di divisione, separazione e chiusura a scapito delle Regioni oggi più deboli, ma pensare di inseguirlo su quello stesso terreno da parte delle Regioni meridionali è una follia altrettanto grande; andrebbe invece costruito un fronte per fermare e arginare quel progetto, non per lasciare immutate le cose, perché le cose come stanno oggi, non stanno bene.

Il Titolo V genera confusione, attribuisce alle Regioni compiti che starebbero bene in capo allo Stato centrale: aeroporti, energia, grandi reti non possono essere delegate alle Regioni. Così come le Regioni sono nate per essere strumento di legislazione e di programmazione, non enti di gestione e invece sono sempre più diventati Enti gestori a scapito dei governi di prossimità che sono stati completamente azzerati. Abbiamo bisogno di una redistribuzione organica e unitaria, come architettura istituzionale.

Quindi un no all’autonomia differenziata, per rivendicare un cambiamento verso un organico progetto di riorganizzazione delle funzioni fra Stato centrale, Regioni e governi di prossimità dentro i quali debbono avere un ruolo specifico speciale, sul terreno istituzionale, dei poteri e delle autonomie, le Città metropolitane che in Italia sono tre: Milano, Roma e Napoli. O abbiamo il coraggio di approfondire sul terreno del dibattito, della discussione accademica, istituzionale questa nostra idea, giusta o sbagliata che sia, per riorganizzare questa nostra architettura, oppure rischiamo di fare una battaglia puramente difensiva che sul piano dello scenario e delle forze in campo rischia di vederci o inseguire l’avversario sul suo terreno o, peggio ancora, star fermi e soccombere”.

“Io spero – ha concluso Schiavella – che da momenti come questi, dove possiamo permetterci qualche libertà in più anche nell’esposizione delle nostre rispettive posizioni, nascano gli stimoli, le energie e le idee, per fare quello di cui il Mezzogiorno ha bisogno per tornare al centro delle politiche del Paese, per tornare ad essere una questione nazionale, come abbiamo più volte detto, e non una questione che riguarda le Regioni, le istituzioni e i cittadini del Mezzogiorno”.

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