Pomigliano, razzismo in fabbrica sprone alla produttività

Ieri la protesta ai cancelli della Tiberina di Pomigliano con gli operai Si Cobas FCA, Consorzio bacini e i licenziati Ambiente spa per dire che il problema non è l’offesa alla “napoletanità” , ma lo sfruttamento generalizzato nei luoghi di lavoro

Una protesta colorata contro la dirigenza della ‘Tiberina’, facente parte dell’indotto FCA, è stata messa in atto ieri da operai e licenziati Fiat. Solo pochi giorni fa infatti il direttore di dell’azienda aveva fatto scrivere sul display dedicato alle comunicazioni istituzionali in fabbrica “Napoletani da bruciare”, giustificandosi subito dopo dicendo che era un modo di “spronare” i dipendenti. Di seguito il comunicato diffuso dai lavoratori del Collettivo 48ohm di Pomigliano.

“La Tiberina non è una piccola impresa ma un gruppo metalmeccanico dell’indotto FCA che conta ben 16 stabilimenti in Italia e fa profitti “a palate”, a difesa dei quali non esita a licenziare, a sfruttare manodopera con contratti precari e cassa integrazione ad oltranza, a lasciare gli operai senza acqua nei reparti e senza impianti di areazione nonostante le altissime temperature.

Appena poche settimane fa negli stabilimenti di Cassino e Melfi gli operai hanno scioperato per giorni contro il mancato rinnovo dei contratti interinali. A Pomigliano, dove si è costretti a lavorare a porte aperte per evitare il rischio del collasso durante i turni di lavoro, proprio per la mancanza di impianti di areazione, gli operai hanno bloccato la produzione per qualche ora.

I padroni per aumentare i loro profitti non solo portano i salari al minimo del loro valore ma tengono gli operai a lavorare in condizioni bestiali. In fabbrica bisogna sgobbare come animali da soma senza poter bere acqua e rischiando un infarto per permettere a loro di far la bella vita.

Il direttore della fabbrica di Pomigliano, piccato dalle reazioni e dalle rivendicazioni avanzate dagli operai, ha pensato di proiettare sui display interni ai reparti una frase offensiva contro i napoletani, ritenendola evidentemente adatta a colpire chi lavora lì dentro: “Bisogna bruciare tutto, Napoli e i napoletani sono dei rifiuti”. Per scusarsi in seguito dirà che quel messaggio doveva solo servire “da sprone”. Voleva cioè dire agli operai che devono lavorare alle condizioni che l’azienda impone e stare zitti. Chi non accetta di lavorare così rischia il licenziamento e pure la condanna morale: è una monnezza, un lavativo, perché non vuole più fare lo schiavo.

Oggi siamo ai cancelli della Tiberina di Pomigliano con gli operai Si Cobas FCA, Consorzio bacini e i licenziati Ambiente spa per dire che il problema non è l’offesa alla “napoletanità”, la logica di appartenenza tribale e campanilistica non ci permette di focalizzare su quali basi si riproduce lo scontro di classe. Il trattamento che si riserva agli operai è lo stesso, da Cassino a Pomigliano, passando per Melfi e Val di Sangro. L’unica “monnezza” di cui dobbiamo liberarci è lo sfruttamento del lavoro a salario. Se siamo organizzati come classe, capaci di utilizzare tutta la nostra forza e unità, nella lotta e nella prospettiva politica di un partito indipendente, saremo noi a dare finalmente qualche

“sprone” ai padroni assestandogli quattro calci nel culo”.

Cinzia Porcaro

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