“La Tiberina non è una piccola impresa ma un gruppo metalmeccanico dell’indotto FCA che conta ben 16 stabilimenti in Italia e fa profitti “a palate”, a difesa dei quali non esita a licenziare, a sfruttare manodopera con contratti precari e cassa integrazione ad oltranza, a lasciare gli operai senza acqua nei reparti e senza impianti di areazione nonostante le altissime temperature.
Appena poche settimane fa negli stabilimenti di Cassino e Melfi gli operai hanno scioperato per giorni contro il mancato rinnovo dei contratti interinali. A Pomigliano, dove si è costretti a lavorare a porte aperte per evitare il rischio del collasso durante i turni di lavoro, proprio per la mancanza di impianti di areazione, gli operai hanno bloccato la produzione per qualche ora.
I padroni per aumentare i loro profitti non solo portano i salari al minimo del loro valore ma tengono gli operai a lavorare in condizioni bestiali. In fabbrica bisogna sgobbare come animali da soma senza poter bere acqua e rischiando un infarto per permettere a loro di far la bella vita.
Il direttore della fabbrica di Pomigliano, piccato dalle reazioni e dalle rivendicazioni avanzate dagli operai, ha pensato di proiettare sui display interni ai reparti una frase offensiva contro i napoletani, ritenendola evidentemente adatta a colpire chi lavora lì dentro: “Bisogna bruciare tutto, Napoli e i napoletani sono dei rifiuti”. Per scusarsi in seguito dirà che quel messaggio doveva solo servire “da sprone”. Voleva cioè dire agli operai che devono lavorare alle condizioni che l’azienda impone e stare zitti. Chi non accetta di lavorare così rischia il licenziamento e pure la condanna morale: è una monnezza, un lavativo, perché non vuole più fare lo schiavo.
“sprone” ai padroni assestandogli quattro calci nel culo”.
Cinzia Porcaro