E sì, è entrata tra i più comuni modi di dire quando si parla, si commenta e magari si pratica il ciclismo: “Ma chi sei Gimondi?”

Da sempre appassionato di ciclismo, per eredità paterna, e ciclista, della domenica, per passione, a diversi giorni dalla scomparsa di quel Gimondi a cui tutti, per me da sempre, ci siamo appellati per sentirci ciclisti, mi ritrovo qui a scrivere. Ci siamo senti tutti Gimondi spingendo sui pedali e tutti abbiamo canzonato i compagni di pedalate con quel “ma chi sei Gimondi?”.

Felice Gimondi è stato il padre di tutti i ciclisti che negli ultimi cinquant’anni hanno inevitabilmente dovuto confrontarsi, rapportarsi e misurarsi proprio con quel campione che, con echi nella mia infanzia, è stato capace di cambiare e condizionare il modo di sentire lo sport del ciclismo diventando un simbolo, un’icona alla portata di tutti, da utilizzare per parlare di eccellenze delle epiche due ruote a pedali.

La verità è che io non lo ricordo spingere i pedali, partire in salita, imporre ritmi forsennati, stringere i denti e neanche battere i cronometri e sfidarsi a viso aperto con un mostro ineguagliato come il Cannibale belga. Mai rassegnato e sempre pronto a dare tutto per inseguire l’obiettivo prefisso, mai perdente in partenza, ma sempre pronto a stupire con la tenacia e la caparbietà che hanno connotato tutta la sua vita agonistica e non solo.

Non lo ricordo direttamente sui pedali, erano più i commenti che ascoltavo da un grande appassionato: mio padre, che non ho mai visto in bici, ma che ancora oggi mi chiama al telefono per avvisarmi quanto una corsa trasmessa in televisione è all’epilogo.

Quando Gimondi, detto “Nuvola Rossa”,  concludeva la sua splendida carriera dopo aver vinto Tour, Vuelta e più volte Giro, io cominciavo a capirci qualcosa. In quegli anni mi apprestavo ad ereditare, sempre dallo stesso appassionato, i lunghi pomeriggi davanti al televisore tra tappe, classiche e prove a cronometro, a tifare, sperare e ad appassionarmi alla nobile fatica del pedale.

I miei primi campioni sono stati Moser, che per qualche anno ha sfidato Gimondi, e Saronni. Un dualismo tutto nostrano che animava le strade del Giro sul finire dei Settanta e per tutti degli anni Ottanta. Tanti grandi campioni che ci hanno regalato altre vittorie ed altre emozioni, ma sempre con quel “ma chi sei Gimondi?” che continuava a riecheggiare nelle parole, nei sorrisi e negli sfottò di tutti gli italopedalatori.

Lo ricordo però in Tv, nei vari programmi dedicati allo sport della bici e lo ricordo soprattutto a Parigi nel luglio del 1998 sul podio del Tour al fianco del Pirata che gli succedeva in giallo ben 33 anni dopo. Quel giorno confessò di essere ancora più emozionato di quel 14 luglio del ’65 quando sul podio più alto, a sorpresa, c’era stato proprio lui. Un campione vero, nato con quelle immagini in bianco e nero, sarebbe stato sempre più grande, nello sport e nella vita.

Poi c’è il 16 agosto del 2019, qualche giorno fa.

Ero a casa di mio padre, il miglior posto dove ricevere tale notizia, e nel  battere la mano sul tavolo di cucina esclamando “mannaggia”, mentre dal video la giornalista di turno annunciava la morte di Felice Gimondi, c’era tutto il profondo dispiacere per quella perdita inattesa.

Un desiderio forte: dovevo assolutamente salutare, da appassionato e da ciclista, sia pure della domenica, prima che da giornalista, questo grande uomo di sport che ha segnato il suo tempo con vittorie epiche e indimenticabili. Il primo campione che gli italiani hanno conosciuto mediaticamente, con l’avvento sempre più prepotente della televisione. Quell’uomo schivo e a volte scorbutico che in quegli anni, dal 1965 al 1979, anni in cui fu in attività, ebbe la forza di oscurare le gesta dei grandissimi che lo avevano preceduto.

Per tutti, pallonari compresi, Gimondi resterà “il ciclista”. Nelle cronache del grande Adriano De Zan aveva tagliato il traguardo tante volte, facendoci sentire tutti campioni, anche mentre stavamo semplicemente passeggiando sulla nostra fedele Graziella.

Grazie Felice, grazie per quello che hai fatto e,  cosa riservata solo i grandissimi come te, Nuvola Rossa, grazie per quello che ancora farai.

Gennaro Cirillo

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