L’Italia-Germania della nostra serie A.
Così è stata definita la sfida dello scorso week tra Juventus e Napoli all’Allianz Stadium. Un riferimento di certo legato alla mitica semifinale del mondiale messicano 1970; ma soprattutto ai numerosi colpi di scena ai quali abbiamo assistito lo scorso 31 agosto, con un clamoroso ribaltone mancato dagli azzurri di Ancelotti e il pari sfumato al ‘93 su autorete di Koulibaly.
Tuttavia, esiste un’altra sfida tra zebre bianconere e ciucci azzurri che ha fatto tremare le vene ai polsi, fors’anche più del rocambolesco 4-3 maturato a Torino.
Correva l’anno 1975. Per la precisione il 6 aprile. Alle 15.30 al comunale di Torino è una giornata calda, un anticipo di estate su una primavera assai dolce per lo squadrone guidato dal «leone di Belo Horizonte», il maestro Luìs Vinicio.
Già tre ore prima della partita torme di napoletani si accalcano ai cancelli del comunale.
Sono i tempi in cui esisteva ancora la terza classe nei vagoni ferroviari, e i «terroni» viaggiavano con le valigie di cartone attaccate al fil di spago, infarcite di mutande di lana, soppressate e melanzane sott’olio. Molti di loro sono operai Fiat. Sono calabresi, napoletani, foggiani e baresi, palermitani, e sardi dalla pelle così nera che sembra una ciminiera. Tute blu e, molti, sangue azzurro nelle vene.
Fino a quel momento è stata, per il Napoli capitanato da Antonio «Totonno» Juliano, una stagione da incorniciare. Eppure non basta. Perché davanti ai partenopei, allora come oggi, c’è un vero e proprio squadrone. La Juventus guidata da Parola, che annovera giocatori di livello assoluto. In porta il monumentale Dino Zoff, protetto da una difesa d’acciaio formata, tra gli altri, da Gentile, Cuccureddu e il compianto Gaetano Scirea. Senza dimenticare il «barone» Franco Causio, Fabio Capello e lo splendido (almeno per me, s’intende) Anastasi.
Ma anche il Napoli non scherza. Oltre a Juliano – riserva di lusso di Sandro Mazzola al mondiale messicano del ’70 con scampoli di minuti all’attivo – in quella formazione spiccavano gente del calibro di Peppe Bruscolotti (futuro capitano del Napoli scudettato), il molosso Tarcisio Burgnich e tra i pali il favoloso Pietro Carmignani. E un attacco, meno forte di quello bianconero, ma estremamente solido ed esplosivo, guidato dal grande Braglia, non a caso soprannominato «Mitraglia».
Si arrivò allo scontro decisivo per il titolo con i bianconeri in vantaggio di due punti. Pronti, via capolista in vantaggio al ’19 con un gol «elegante» di Causio, e non avrebbe potuto essere altrimenti per l’ala salentina, che sarà uno dei protagonisti del Mudial dell’82. Si va negli spogliatoi con la Juventus in vantaggio. Tuttavia, bastano pochi minuti della ripresa per il pareggio napoletano (al minuto ’59). Contropiede perfetto. Clerici serve Braglia che all’altezza dei sedici metri perde palla in seguito a un contrasto con Scirea. Il pallone arriva a Totonno Juliano che batte Zoff con una secca botta di destro. È 1-1! Un’azione paradigma del calcio viniciano, ben descritta dal mitico Gianni Brera in questi termini. «Il gioco di Vinicio si fonda sulla regia di Juliano, al quale i devoti gregari portano palla con assoluta diligenza. Il Capitano Azzurro fornisce, anche se a flebile ritmo, prestazioni stupende».
L’1-1 non è un buon risultato per gli azzurri, però. Il Napoli attacca, sfiora addirittura il vantaggio con Clerici. Un gol che avrebbe significato aggancio in vetta (la vittoria all’epoca pesava due punti, ricordiamolo).
Ed ecco materializzarsi l’amaro epilogo di una primavera dolcissima, fino a quel momento.
Parola, come già più volte ha fatto nel corso di quella stagione, pesca dalla panchina il suo jolly. José Altafini, ex illustre del match per aver militato all’ombra del Vesuvio dal ’65 al ’72. Entra all’88 al posto di uno spento Damiani. Un’azione carambolesca che fa trovare ad Altafini la via della rete, portando via ogni sogno e i bianconeri a +4 e diventando da quella domenica il primo core ingrato della storia del calcio italiano.