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Una donna con i calli alle mani: Teresa Bellanova

Questa favola inizia a Genova nel lontano 14 agosto 1892. In quell’anno, nel capoluogo ligure, ricorreva il quarto centenario della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, genovese doc. Tuttavia, quella data verrà ricordata soprattutto per altro. La nascita del primo grande partito di massa della storia italiana: il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.

A fondarlo è Filippo Turati, esponente dell’ala cosiddetta riformista, quella cioè che considerava la rivoluzione proletaria come un processo graduale, da applicarsi all’interno delle istituzioni, e non al di fuori di esse con l’abbattimento dello stato borghese come sosteneva invece la fazione intransigente dei massimalisti.

Ebbene, nelle ore agitate che portarono alla nascita dei Socialisti, scoppiò una battaglia furibonda per la presidenza del partito. A innescarla fu l’operaista Casati il quale chiese che alla guida del partito fossero eletti «uomini con i calli alle mani», ch’era un’accusa al vetriolo a Turati e al suo stato maggiore di intellettuali. Che la storia della sinistra sia stata bagnata da litigi, dissidi e veleni non deve certo sorprendere se si considera che nei decenni successivi andrà sempre peggio. Prima i contrasti interni ai socialisti, con la fuoriuscita della fazione massimalista e la creazione del Pci nel ’24 a Livorno, poi divisioni interne nella stessa falce e martello e così via. Ma non è una cronistoria delle divisioni a sinistra, quella che vi voglio raccontare.

Ho citato questo aneddoto perché mi è tornato alla mente proprio nei giorni coincisi con la nomina a ministro delle politiche agricole di Teresa Bellanova. Media, gente comune, osservatori, opinionisti si sono subito scagliati e concentrati sulla mise della Bellanova, come se la moda o il glamour rappresentassero un metro di giudizio essenziale per la scena politica. E, dimenticando tutto questo, il ronzio fastidioso di giornali e social ha tralasciato il curriculum di questa donna. O meglio, non lo ha tralasciato. Lo ha passato ai raggi x e quello che c’ha trovato è stata (solo) l’assenza della laurea, del titolo di studio.

È strano però che del neoministro alle politiche agricole, alimentari e forestali del governo Conte II non abbiano visto altro.

Bracciante agricola a 14 anni, capolega della federazione braccianti CGIL di Ceglie Messapica (città dove la Bellanova è nata 61 anni fa), coordinatrice regionale delle donne Federbraccianti, le numerose battaglie contro la piaga del caporalato, senza dimenticarci dell’attività politica coniugata a quella sindacale.

Mi chiedo: perché allora non l’abbiamo raccontata questa storia?

Una storia di una donna forte, coraggiosa, volitiva. Una donna che si è fatta da sé, che ha combattuto, lottato, rischiato. Perché caporalato in Puglia, Campania, Calabria e in tutto il meridione significa criminalità organizzata, soprusi, sfruttamenti. Ci siamo fermati alla scorza, al taglio d’abito del ministro; l’abbiamo pure infangata, diciamolo senza mezzi termini, facendole pesare il suo livello d’istruzione poco avanzato.

Il ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova.

La verità è che Teresa Bellanova i «gradi» se li è conquistati sul campo. Se avrete la fortuna di stringerle la mano, a margine di una conferenza stampa o di una visita istituzionale, vedrete che i suoi palmi sono grinzosi, consumati; le dita piene di calli. I segni di chi ha sudato e lavorato sotto un padrone.

A Ceglie Messapica, tra le pianure e le rocce carsiche delle Murge dove generazioni di «cafoni» e braccianti si sono spaccati la schiena e i piedi. Non sottovalutate questa donna. Non commettete questo errore. Non solo è straordinaria come tutte le donne con un passato fatto di lotte e sofferenza. Ha anche una marcia in più: conosce la fatica, conosce la terra, conosce il sudore della fronte, conosce la zappa e le ore incurvata a raccogliere pomodori nei campi. Sarà uno dei ministri migliori che avremo, vedrete.

Questa favola bella – ricca di riscatto e passione – non può trovare la fine che in altre parole. Quelle di Giuseppe Di Vittorio, un altro sindacalista. Un pugliese e meridionale, proprio come il ministro Bellanova. La migliore risposta a chi con sufficienza – col solito e insopportabile atteggiamento da radical chic – ha accolto l’arrivo della donna «con i calli alle mani» in Parlamento:

“Onorevoli colleghi, questa mattina qualcuno seduto in quest’aula, per dimostrare il suo disprezzo per la mia presenza qui, ha mormorato: Un cafone in Parlamento… Ebbene sappiate che questo titolo non mi offende, anzi, mi onora, infatti se io valgo qualcosa, se io sono qua, lo devo ad Ambrogio, a Nicola, a Tonino, a tutti quei braccianti analfabeti che hanno dormito insieme a me nelle cafonerie e con me hanno mangiato pane e olio, che hanno lottato duramente per i diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, perché la fame, la fatica, il sudore non hanno colore e il padrone è uguale dappertutto”.

 

 

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