Quando l’airone si consegnò all’immortalità

Il 3 aprile del 1955 il «campionissimo» Fausto Coppi, senza dubbio il ciclista più forte di tutti i tempi, scalò la meno impegnativa delle sue salite. Eppure quel giorno, tra le montagne agerolesi e il mare amalfitano, l'airone si consegnò per sempre alla storia.

Agerola, in provincia di Napoli, è una ridente località turistica situata a cavallo tra i golfi di Napoli e Salerno, ed è soprattutto corridoio di passaggio per raggiungere le perle della Costiera Amalfitana. Tuttavia le sue dolci colline, che lentamente si perdono nei misteri del mare amalfitano, sono state spettatrici e testimoni di una storia. Una storia che molti agerolesi (e non) ancora oggi tramandano come un mito, allo stesso modo in cui gli aedi, nel tempo antico, affidavano all’immortalità gli eroi omerici. A pensarci bene questa storia, che ancora oggi circola nei vicoletti e nelle strade di Agerola e dei paesini della costiera, reca in sé tratti del mito. Perché del mito ha la sfida, la fatica, l’impossibile, il coraggio.

La nostra storia inizia il 3 aprile del 1955. Quell’anno si corre il Giro della Campania. La carovana ciclistica era partita dalla reale Caserta, attraversando Benevento e il Sannio, poi le roccaforti avellinesi, le colline e il mare salernitano, per avvicinarsi al Capo d’Orso e ad Amalfi. Una sequenza muta di pedali e ruote, un esercito ingobbito di uomini che marcia nel cuore del ducato amalfitano. In mezzo a quella legione di ferro e catene, sui primi tornanti che dalla salita da Amalfi portano ad Agerola, spunta un uomo. Ha trentasei anni, capelli nero corvino, la faccia scheletrica divorata dalla fatica, un corpo esile come un fuscello e al contempo fibroso come un giunco di fiume. Quell’uomo che spinge la sua bicicletta con la stessa veemenza di una locomotiva a vapore, in quell’aprile della metà degli anni ’50, è una leggenda in viaggio. Ha vinto le due principali corse a tappa – Giro d’Italia e Tour de France – inanellato una serie impressionante di vittorie nelle gare in linea (Milano-Sanremo; Parigi-Nizza e tante altre ancora…), medaglie d’oro mondiali e stracciato ogni record.

Quell’uomo è Fausto Coppi.

Fausto Coppi al Tour de France del 1952.

Ebbene, quando l’airone (uno dei suoi soprannomi che ne incarnava la leggerezza e la grazia sui pedali) distaccò gli avversari sulla salita di Agerola il pubblico accorso numeroso andò in visibilio. Provate a immaginare la scena. Una strada stretta, gonfia di gente, urla dappertutto. E un eroe, un guerriero, un soldato che a un certo punto vi dà l’impressione di essere così forte, così saldo su quelle sue gambe essenziali, da potersi caricare la bicicletta sulle spalle e andare alla conquista della vittoria, delle montagne, del cielo. Proprio come un titano, un gigante. Non come una divinità, però. Sebbene Coppi fosse il «campionissimo» non fu mai un Dio. Semmai fu l’antitesi di un dio. Chi puntava il cielo per abbatterlo non per sedersi su una nuvola e dominarlo.

Forse fu per questa sua componente «antieroica» che Coppi divenne, nella rivalità altrettanto mitica con l’immenso Bartali, il «comunista» a differenza del «democristiano» Gino. Perché Coppi infiammava, incendiava, con la sua andatura. Bruciava il petto come un’accorata arringa in un comizio. Perché Coppi era in grado di trasformare la fatica in vittoria, il sudore in riscatto, lo spirito d’iniziativa in una garanzia di successo.

6 luglio 1952. Gino Bartali e Fausto Coppi e il celebre «passaggio! di borraccia al Tour entrato nella storia del ciclismo di tutti i tempi.

Tutto questo videro le migliaia di sportivi quel giorno ad Agerola. Un airone che metteva l’ennesimo sigillo sul suo regno ciclistico. Un rivoluzionario che non patì per la sua rivoluzione. Ma al contrario, la concluse dando nuova linfa agli uomini e alle loro ambizioni.
Coppi, inutile dirlo, vinse quel Giro della Campania. Lo vinse, e non poteva essere altrimenti, in modo rivoluzionario. Dando, sul traguardo dell’Arenaccia a Napoli, ben cinque minuti a un coriaceo Fiorenzo Magni.

A cent’anni dalla nascita di Coppi le celebrazioni si sono sprecate. Tuttavia la grandezza di questo ciclista antieroe, ancora oggi, non risiede nei memoriali periodici che – giustamente – gli vengono tributati. Coppi è nei cippi, nelle cime, nei passi montuosi e nelle rocce che hanno segnato le strade che ha divorato con i suoi pedali. In quella natura selvaggia e ostile che fa da cornice ai sacrari silenziosi che hanno reso libera e fiera la nostra nazione.

Bomerano, Agerola, cima Coppi.

Monumenti come quello eretto sulla terrazza di Bomerano, una piccola frazione di Agerola, dove tra le rocce e il cielo infinito potete fermarvi e leggere:

«Su questa vetta Fausto Coppi campionissimo esaltò il ciclismo».

 

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