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«Se mi mandi in tribuna godo»: la storia di Ezio Vendrame

È la stagione 1975-1976. Campionato di Serie C. Si gioca la partita Padova-Cremonese. Nel bel mezzo di un incontro truccato  – finito per la cronaca 0-0 – un calciatore, ruolo ala, si mette a dribblare la sua stessa squadra da un lato all’altro del campo, senza che nessuno riuscisse a fermarlo fino ad arrivare davanti al proprio portiere. L’estremo difensore si tuffa, nel tentativo di soffiargli il pallone, ma inutilmente. Quel giocatore ormai è solo, davanti alla porta. In prossimità della linea, però, si ferma e ritorna indietro. «Bisognava pure dare un’emozione quel pomeriggio!» dirà il calciatore. Nel vedere quella scena incredibile, uno dei tifosi presenti sugli spalti morirà di crepacuore.

Nel libro autobiografico, e in un lunghi tratti scioccante, «Se mi mandi in tribuna godo» a raccontare questo episodio a metà strada tra il farsesco e il leggendario è Ezio Vendrame. Ma chi era Ezio Vendrame?

Un calciatore, certo. Ma soprattutto un talento. Il talento più inespresso della storia del calcio italiano.

Tra poche settimane quella che fu la prodigiosa ala del Lanarossi Vicenza degli anni ’70, compirà 72 anni. E per il suo compleanno ho voluto raccontare la sua storia. Una storia fatta di anticonformismo, di battaglie perse, di riscatto e generosità. Perché Ezio Vendrame è un antieroe, uno che non ha vinto niente, fatta eccezione di un campionato di Serie D col Pordenone nella stagione 1978/1979; uno che, quando era alla SPAL, saltava gli allenamenti perché si era follemente innamorato di una baby prostituta di Genova.

Ad alimentare il suo personaggio – in parte sconosciuto al grande pubblico – è proprio l’orgoglio della sconfitta che Vendrame ha sempre incarnato, in qualche modo. Non tanto perché fosse un perdente, semplicemente perché non gli piaceva vincere.

Perché, a modo suo, aveva compreso una cosa. Il calcio, lo sport, non è agonismo becero e spesso gonfiato all’inverosimile. Lo sport è spettacolo, è dare emozioni e tutto il cuore possibile alla gente.

Giampiero Boniperti paragonò Ezio Vendrame all’argentino Kempes. Forse per la chioma gonfia e leonina. Di sicuro perché Forte, scattante, estroso. Imprevedibile, proprio come il centroavanti argentino. Qualcun altro, sbagliandosi di poco, lo ha invece accostato all’altrettanto mitico George Best. Penso che l’unica icona che possa spiegare chi fosse veramente Ezio Vendrame è quella di Don Chisciotte. Un cavaliere del calcio, un sognatore eretico di provincia, uno che mandava a culo il mondo, uno che per dignità litigava con tifosi e allenatori.

C’è un episodio che racchiude tutto l’uomo e il calciatore Vendrame. Una storia d’altri tempi. A raccontarla, si stenta crederci. Vendrame è al Padova. La stessa stagione di quel dribbling al contrario di cui abbiamo parlato all’inizio. In quell’anno il Padova naviga in pessime acque a causa di enormi problemi finanziari, al punto che la società riesce appena a garantire i premi partita minimi previsti dalla federazione, fissati a 22000 lire a punto (la vittoria, all’epoca, valeva due punti; il pari uno).

Nella sua autobiografia Vendrame racconta di una proposta di giocare male contro l’Udinese (sua ex squadra peraltro) che lottava in quell’annata per la promozione in B. Vendrame accetta, in un primo momento. Però, poi, accade un fatto. Quando scende in campo a Udine, i suoi vecchi tifosi lo fischiano sonoramente. Vendrame cosa fa? Cambia idea, e si mette a giocare una delle sue partite più memorabili. Volevo «punire quel pubblico di ingrati… affanculo i sette milioni, viva le 44.000 mila lire» dirà nel suo libro.

La partita terminò 3-2 per il Padova. Vendrame segna una doppietta e da annali fu il secondo gol, realizzato direttamente da calcio d’angolo. Tuttavia, prima di battere il corner, Ezio fece il gesto di soffiarsi il naso e a gesti mimò ai tifosi friulani che quella palla l’avrebbe messa direttamente in porta, cosa che accadde.

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