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Un pugno teso al cielo: la vita contro di Paolo Sollier

Paolo Sollier, centrocampista del Perugia a metà degli anni '70, in un'azione di gioco.

Chi era ragazzo o poco più che un adulto a metà degli anni ’70 ricorderà certamente un personaggio assai singolare. Un omone, barba folta e scura e una capigliatura corvina fluente che lo faceva assomigliare un po’ a Guccini e un po’ al Mangiafuoco di Pinocchio.

Quest’uomo, calciatore solo per caso, si chiama Paolo Sollier. A tirare due calci a un pallone ci arriva nel 1968, in piena contestazione giovanile, dopo aver abbandonato la facoltà di scienze politiche, a cui era seguito un altro abbandono: il lavoro allo stabilimento Mirafiori della FIAT. In questi anni, il giovane Sollier, si era già avvicinato all’impegno sociale, aspetto fondamentale per inquadrare questo discusso personaggio. Nel quartiere della Vanchiglietta di Torino dov’era cresciuto, e dove da generazioni si respiravano fumo, fabbriche e socialismo e Cristi in croce, Paolo entra in contatto col Gruppo Emmaus e Mani Tese, da lui stesso definiti gruppi cattolici dissenzienti.

In quegli anni turbolenti, fatti di risse e mischie di piazza, militanza e attentati, Paolo Sollier è il primo a conciliare calcio e passione politica. Un binomio che lo espone a pesantissimi attacchi, in special modo dai gruppi di quella stessa sinistra extraparlamentare per cui militava che in lui vedevano il ritratto del perfetto radical chic. Di chi a parole predica uguaglianza e dittatura del proletariato, ma che nei fatti vive come un nababbo. «Il mio era lo stipendio di un buon impiegato» ha detto Sollier «Se mi sentivo un privilegiato era per un altro motivo, perché facevo il lavoro dei miei sogni, il calciatore. Una fortuna che capita a pochi».

Questo passaggio è contenuto nel libro Calci e sputi e colpi di testa, pubblicato nel 1976, nel quale Sollier racconta la propria militanza in Avanguardia operaia, uno dei gruppi più noti della sinistra extraparlamentare negli Anni di Piombo, descrivendo il mondo del calcio dal suo punto di vista.

Paolo Sollier nel celebre e discusso gesto del pugno chiuso.

Tuttavia, quello che rimane negli occhi di questo personaggio è qualcos’altro. Nella stagione 1975-1976 Sollier è il faro del centrocampo del Perugia. Ha contribuito alla vittoria del campionato di serie B degli umbri e alla loro promozione in serie A. Proprio durante quel campionato, a sottolineare la sua piena adesione alla militanza politica, Sollier inizia a salutare i suoi tifosi, in ogni partita, col pugno chiuso, un gesto che gli provoca da subito l’antipatia delle tifoserie di segno politico opposto, in particolare della Lazio, ben nota per la sua vicinanza agli ambienti di estrema destra.

Sarà lo stesso Sollier a chiarire meglio la natura di quel gesto:

«Non era propaganda. Non era un gesto indirizzato ai tifosi ma a me stesso, per ricordarmi ogni volta chi fossi e da dove venivo. E per far sapere ai miei amici che restavo quello di sempre. Il ragazzo che al campetto, tanti anni prima, così si rivolgeva a loro. Con quello che per noi era un segno di riconoscimento».

Chissà cosa diremmo, oggi, di un calciatore come Paolo Sollier? Come reagiremmo se vedessimo un centrocampista agitare un pugno al cielo e manifestare liberamente la propria idea politica? La risposta a questa domanda non l’avremo mai, forse, visto che il calcio oggi – specialmente quello nostrano – è diventato completamente asettico dall’ideologia politica, seguendo in questo la deriva di tutta la società.

Eppure in un’epoca segnata – da un pezzo – dal tramonto delle ideologie o dalla strumentalizzazione dello sport per chiari fini propagandistici e politici (si guardi al saluto militare dei giocatori turchi in occasione dell’invasione dell’esercito di Erdogan ai danni dei Curdi), provoca una certa nostalgia, velata da un mal celato romanticismo, un calciatore, unico nel suo genere, che su un campo di calcio non tremava né aveva paura di pensare e mostrare quello che era. Senza propaganda, senza strumentalizzare nessuno.

Essere semplicemente contro. Un uomo, non una figurina. Gambe, cuore e idee. Qualcosa di ben lontano dalle tante, troppe, marionette che affollano il nostro tempo e il nostro calcio.

 

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