In campagna elettorale le “promesse” sono obbligatorie. Nel senso che all’elettore va spiegato bene, senza esagerare però, quale sarà il percorso che s’intende realizzare quando si riceverà il mandato elettorale. Certo, ogni candidato prova a colorare a tinte forti le mete che vuole raggiungere una volta avuto il consenso. Ma il pennello dell’immaginazione non può e non deve superare il livello di guardia del buon senso, delle cose possibili da realizzare. Non è solo una questione di “correttezza professionale” che deve esserci sempre, ma anche perché l’elettorato, proprio al contrario di quello che molti politici credono, ha la memoria lunga. Insomma, se non si vuol essere una meteora politica bisogna, come si suole dire, stare sempre “con i piedi per terra”.
E, invece, i piedi molti nostri politici li hanno su una corda sempre oscillante. Rimanere in equilibrio per molto tempo in quello stato instabile diventa difficile se non impossibile. Alla fine o i piedi si poseranno sulla terra ferma o si cadrà nel burrone della non credibilità. Una volta che ci sei finito dentro nessuna scalata mediatica ti farà tornare in superficie nella considerazione della maggioranza degli elettori.
Per meglio far comprendere il ragionamento che c’interessa proporre al lettore basta soffermarsi sulla marea – meglio dire maremoto – di comunicati stampa, di prese di posizioni e via proseguendo durante eventi non proprio politici, ad esempio gite su qualche spiaggia italiana o in montagna o per eventi tragici dove la pacatezza e il silenzio sarebbero d’obbligo.
L’obiettivo ossessionante che alcuni politici della nuova generazione hanno è stare “sempre” – giorno, notte, pomeriggio, sera – incollati al possibile soggetto che li voterà. Ogni parola, ogni gesto, ogni atteggiamento è costruito ad hoc per dire a questi: “Io sono con te, la penso come te, al diavolo la correttezza politica, le mezze frasi che condannano e assolvono contemporaneamente. Le scialbe tinte della politica politicante non ci sono più, non ci possono essere. C’è il “nero più nero” possibile che assorbe il 100% della luce politica visibile. Per fare tutto ciò non c’è bisogno del politico preparato che si formava gradualmente, facendo esperienza nelle comunità parrocchiali, nel sindacato, partecipando alle scuole di partito. Famosa era quella del Partito Comunista Italiano delle Frattocchie. Eppoi, con gradualità, se a parere della dirigenza del partito eri maturo, cominciavi la tua esperienza in Consiglio Comunale e, dopo una gavetta seria, se proprio avevi i requisiti di credibilità, d’onestà e via proseguendo, arrivava il tanto ambito posto a Roma: a Montecitorio o a Palazzo Madama o a fare politica nazionale nel partito.
C’era, insomma, una lunga trafila che provava a selezionare il meglio della classe politica per il governo del Paese. Non sempre però le cose andavano come abbiamo tentato di descrivere. I “furbetti” in un paese come il nostro ci sono sempre stati e, al di là di regole ferree di selezione che un po’ tutti i partiti avevano, c’era sempre qualcuno, con la complicità di altri “compagnucci“ o “amicucci”, che creavano scorciatoie, sentieri, sulla strada maestra che i partiti si erano dati. I più però, prima di arrivare agli ambiti traguardi politici, il percorso prefissato lo dovevano fare tutto, ma proprio tutto.
Chi, in parte, ha dato il colpo di grazia ai percorsi politici testé descritti è stato il Cavaliere Silvio Berlusconi. Per promuovere a politico un qualsiasi cittadino non era assolutamente rilevante il percorso formativo che abbiamo provato a descrivere in precedenza. L’importante, l’assolutamente necessario, era ciò che nella vita aveva realizzato. Se era riuscito a fare grandi affari, a mettere su un impero economico. Se, insomma, era un imprenditore vuoi che non sarebbe riuscito a fare politica! Il Berlusca partiva da questo credo assoluto. Purtroppo per lui i fatti gli hanno dato torto. Sì, puoi essere un bravissimo uomo d’affari, un giudice onesto e via proseguendo ma se non hai fatto un minimo di percorso nel sociale, come accennavamo prima, non è facile gestire, la polis, la città.
Se il Cav., comunque, nella maggior parte dei casi, i suoi uomini li sceglieva in base a professionalità acquisite, anche se con la politica non avevano niente a che spartire, la nuova classe dirigente non si è ben capito, a parere di chi scrive, qual è il criterio selettivo. Certo, il requisito assoluto è la fedeltà totale al Capo. Eppoi?
Elia Fiorillo