Tanti i casi negli ultimi anni di donne sfigurate da acido, «che rientrano nel capitolo delle ustioni chimiche cioè dei danni che si manifestano in fase acuta con una perdita di tessuto e quindi devono essere trattate già in un immediato pronto soccorso al fine di evitare che il danno si estenda e possa diventare ancora più grave». Ma quali sono le tecniche per intervenire? «Anzitutto rimuovere l’agente ustionante che ha provocato il danno per evitare che si prolunghi l’effetto lesivo. Poi si applicano tutte le medicazioni specifiche affinché si prevengano le infezioni, uno dei fenomeni più frequenti in questi casi. La fase successiva è quella dell’esito: una volta guarite, queste donne spesso rimangono sfigurate. Sulla cicatrice residua possiamo intervenire – prosegue D’Andrea – con tecniche che servono a trasferire i tessuti fino ad arrivare alle nuove frontiere della chirurgia ricostruttiva, ossia la medicina rigenerativa che sfrutta le cellule staminali cioè la possibilità – attraverso la tecnica del lipofilling (il trasferimento del tessuto adiposo nello stesso individuo) – di rigenerare il tessuto lesionato».
Della necessità di Linee guida nazionali per intervenire sul fenomeno D’Andrea parlerà nel corso del primo summit interdisciplinare sul tema delle mutilazioni genitali femminili, in programma il 25 novembre all’azienda ospedaliera Federico II di Napoli: «da tempo la Società italiana di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica che presiedo si muove in questa direzione. Nello specifico stiamo studiando delle linee guida per trovare gli approcci terapeutici migliori nei casi di grandi traumi, di violenza o di mutilazioni genitali femminili, altro fenomeno in espansione anche sul nostro territorio. Per far sì che vi siano dei riferimenti che possano essere utilizzati in maniera univoca in tutte le strutture che si occupano di chirurgia ricostruttiva e offrire i migliori risultati in termini di ripristino e reintegrazione fisica e funzionale».