La sentenza della Corte costituzionale, seguendo la linea della Corte di Strasburgo, ha deciso di concedere permessi premio a coloro che stanno scontando l’ergastolo ostativo per associazione mafiosa o per terrorismo. In Italia l’ergastolo ostativo è sancito dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario che non concede ai detenuti per associazione mafiosa, i quali decidono di non collaborare con lo Stato, l’opportunità di avere permessi premio.
La Corte costituzionale ha decretato difatti che l’articolo 4 bis risulta incostituzionale sulla base dell’art 3 della Carta fondamentale dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo e la Corte costituzionale quindi pongono in primo piano l’aspetto umanitario, decretando che tutti possono avere una speranza anche in una situazione di ergastolo ostativo. Si decide di premiare chi sta seguendo un percorso rieducativo all’interno delle carceri e anche se il mafioso ha deciso di non collaborare, ma sembra aver reciso i rapporti con la criminalità organizzata, può avere diritto a questi permessi.
La decisione di concedere permessi premio spetterà ad un giudice di sorveglianza che attraverso informazioni dategli dalle relazioni del carcere, Procura dell’antimafia e del terrorismo dovrà stabilire se il detenuto possa usufruire di queste agevolazioni.
Se si riflette da un punto di vista umanitario seguendo la Carta dei diritti dell’uomo, il carcere duro rappresenta un metodo di reclusione inumano, bisogna però d’altro canto analizzare altri elementi che potrebbero rappresentare un vantaggio per la criminalità organizzata. Dopo le stragi di Falcone e Borsellino fu instaurato il carcere duro anche ai detenuti mafiosi proprio perché si capì che dalle carceri i mafiosi riuscivano a gestire gli affari di famiglia e ad esercitare il controllo di un territorio. I legami con l’esterno e la possibilità di essere influenti anche da dentro un carcere , venivano cosi stroncati con il carcere duro.
Nel libro “La mafia non lascia tempo” il mafioso Gaspare Mutolo spiega che loro temevano il carcere duro, l’isolamento e il perdere tutti i contatti con l’esterno che siano quelli della famiglia o contatti politici ed economici. Non potendo più impartire ordini non significa che i mafiosi si siano dissociati dalla criminalità organizzata e la possibilità dei permessi per il mafioso potrebbe anche essere un’opportunità per rientrare negli affari della criminalità organizzata.
La criminalità organizzata riesce a sopravvivere ai mutamenti storici e legislativi grazie alla sua capacità di creare relazioni, conoscenze che consentono ad essa di inserirsi in tutti gli ambiti della società civile. Poiché la grande forza della mafia, della camorra, risiede nel creare flussi di capitale sociale grazie all’utilizzo di relazioni esterne, recidere alcuni legami potrebbe significare limitare la potenza di queste organizzazioni.
Sembra che questa possibilità di poter riallacciare un legame con l’esterno sembra essere ritornata anche per i mafiosi che hanno deciso di non collaborare. Ci sono tantissimi casi in cui i mafiosi dalle carceri hanno emanato ordini di esecuzioni o di gestione degli affari criminali; si pensi che Raffaele Cutolo creò la sua organizzazione criminale, la Nuova Camorra Organizzata, dalle carceri e dall’interno di essa la gestiva.
Il legame che la mafia ha sempre riuscito ad instaurare con la politica, le forze dell’ordine, i magistrati dovrebbe far pensare che essa non debba essere sottovalutata, mai. Certo ci sarà un giudice di sorveglianza a verificare la possibilità di concedere i permessi premio, ma sarà una persona e quindi facilmente assoggettabile a pressioni. Nessuno conosce ora le reali conseguenze di queste sentenze e probabilmente un altro messaggio che può risaltare e che si può continuare ad essere uomini di “onore”, cioè non collaborare con lo Stato e negare che la mafia esista e avere comunque la possibilità di usufruire di permessi premio.
Gianluca D’Ambrosio