“Sempre più spesso le famiglie dei donatori, tramite i social – e in primis Facebook – cercano di conoscere l’identità di chi ha ricevuto gli organi dei loro cari. Una domanda alla quale i medici dell’èquipe e il personale in generale non possono rispondere perché la legge italiana stabilisce che il personale sanitario e amministrativo impegnato nelle attività di prelievo e di trapianto è tenuto a garantire l’anonimato dei dati relativi al donatore e al ricevente” (art.18 comma 2, L. 1 Aprile 1999, n°91). Lo spiega Antonio Corcione, direttore del Centro Regionale Trapianti. “Va sottolineato inoltre – aggiunge – che l’etica e la deontologia medica prescrivono l’impossibilità di rivelare a terzi dettagli sulle persone in cura. Si tratta, quindi, di un principio generale, e non specifico solo della medicina e della chirurgia dei trapianti”.
“I pazienti riceventi – prosegue – sviluppano un sentimento di gratitudine e riconoscenza verso la famiglia del donatore, oltre che, spesso, un sentimento di colpa legato all’idea che la propria sopravvivenza sia, in qualche modo, legata alla morte di un altro essere umano. Inoltre non è, semplice integrare nella propria immagine di persona l’organo che è stato di un altro e l’interferenza dei familiari del donatore, con l’inevitabile rimando alla persona deceduta, potrebbero complicare questo processo di integrazione”.
L’anonimato, tuttavia, non è protettivo solo per i riceventi ma si è dimostrato esserlo anche per i familiari del donatore.
Barbara Leone, Referente dell’Area Formazione e Comunicazione del Centro Regionale Trapianti spiega che in letteratura è stato descritto un comportamento patologico denominato “Sindrome del segugio” (Comazzi,1993); tale sindrome si riferisce al fatto che i familiari dei donatori diventano dei veri e propri segugi impegnati nella ricerca dell’identità del ricevente che viene visto come colui che custodisce gli organi dei propri cari e non come persona “altra” che ha beneficiato di un dono generoso”.
Il Centro Regionale Trapianti della Campania, invia a casa delle famiglie dei donatori dopo sei mesi dal decesso del loro caro una “lettera di restituzione” dove li informa sull’esito del trapianto “garantendo l’anonimato dei riceventi – spiega ancora la Leone – e offrendo alle famiglie un supporto psicologico presso il Centro dove esiste personale dedicato (due psicologhe) che svolgono una funzione informativa, oltre che di sostegno emotivo”.
“Inoltre – conclude- ai familiari dei donatori che ne fanno richiesta possono essere fornite informazioni anche sullo stato di salute dei riceventi a distanza di tempo, mentre i pazienti trapiantati possono inviare una lettera anonima di ringraziamento per il dono ricevuto che, previa valutazione dello psicologo del Centro Regionale, verrà consegnata ai familiari del donatore. La norma che tutela l’anonimato rappresenta, quindi, una forma di tutela emotiva sia per i riceventi che per i familiari del donatore che devono riprendere un cammino di vita.”