Passato cercasi

A Civitanova Marche, a margine di un incontro su fascismo e repubblica, è andato in scena un dibattito serrato tra l'Associazione Nazionale Partigiani di Macerata e un professore di filosofia dell'istituto con reciproci scambi di accuse. La questione centrale non è tanto stabilire chi, tra le parti, abbia ragione o torto. Il punto è che di fronte alla storia recente del nostro paese non esiste alcuna volontà di una riflessione storica obiettiva, condivisa e soprattutto serena.

Civitanova Marche, aula magna dell’Istituto «Leonardo Da Vinci». Davanti a circa mille studenti, l’Anpi di Macerata tiene un incontro sul tema «La fine del fascismo e l’avvento della fase repubblicana». Relatore è Andrea Martini autore di «Dopo Mussolini». Stando alle ricostruzioni fatte, appena l’autore inizia a parlare gli alunni avrebbero lasciato l’aula. L’apice della tensione culmina con l’intervento del professore Matteo Simonetti, docente di filosofia del «Vinci», esponente di quella corrente storiografica che ha, sulla scorta di Giampaolo Pansa e di altri, fortemente ridimensionati il ruolo e la statura eroica avuta dalla Resistenza negli successivi alla caduta del regime fascista. L’intervento di Simonetti scatena polemiche su polemiche. Alla fine, l’Anpi, indignata, abbandona l’aula di quel liceo.

Questa vicenda, passata sotto silenzio, mi riporta alla mente un episodio che mi è accaduto non molto tempo fa. Recensivo libri per un blog. A marzo scorso proposi la recensione di «M Il figlio del secolo» di Antonio Scurati. Un romanzo che ripercorreva – dal 1919 al 1925 – la nascita e l’affermazione del fascismo. La redazione, dopo un lungo silenzio, mi comunicò che il mio articolo non sarebbe mai stato pubblicato perché «troppo politicizzato». Strano visto che mi limitai solo a raccontare il libro. Tuttavia, solo in un secondo momento, compresi la ragione profonda di quella risposta. Il timore. Il timore, seppur per un blog piccolo, di urtare la suscettibilità di lettori e autori marcatamente antifascisti.

Il punto della questione, anzi delle due questioni di cui vi ho parlato, è proprio questo. Non tanto stabilire chi ha torto o ragione – se i partigiani maceratesi che hanno abbandonato l’aula o il professore di filosofia; se il sottoscritto o il blog che mi censurò la recensione – quanto il fatto che di fronte alla storia recente del nostro paese non esiste alcuna volontà di una riflessione storica obiettiva, condivisa e soprattutto serena.

Questo atteggiamento di prevenzione «a priori» – gli antifascisti che non accettano posizioni diverse dalla propria e i revisionisti che cercano di farsi largo con le proprie idee – lascia sul campo soltanto lacerazioni, fratture e tantissima parzialità.

D’altronde gli eccessi pubblici a cui ultimamente stiamo assistendo – da una parte i rigurgiti fascisti e dall’altro la difesa cieca e idolatrica della Resistenza – si collocano precisamente nel contesto di un dibattito povero e incompleto.

«Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo» sentenzia un famoso aforisma di Primo Levi. Questa, oggi, è la condanna che stiamo scontando. Con un’aggravante, però: rivivere un passato di cui non sappiamo assolutamente nulla.

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