Per decenni si è discusso su cosa dovesse diventare l’Europa. Un luogo della mente, uno spazio libero dove poter far circolare uomini, idee e merci. Una grande unificazione che potesse mettere fine, finalmente, a secoli di divisioni, nazionalismi e conflitti violenti. Sebbene l’Unione Europea rappresenti, oggi, un progetto realizzato a metà – si veda a tal proposito le differenze tra il nord e sud del vecchio continente, le posizioni divergenti su migranti e ambiente, sulle politiche agricole ecc. ecc. – un uomo, a capo della nazione più «antieuropeista» del continente, ha fornito il principio di una soluzione che si potrà rivelare vincente.
Quest’uomo è Boris Johnson, di recente eletto primo ministro del Regno Unito. A vederlo, con i capelli alla Trump spettinati, non desta una grande affidabilità. Un personaggio inviso, emblema dell’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, conservatore, intransigente. Tuttavia, lungi da me tracciarne una biografia, ritengo che alcune sue note personali siano utili riportarle nell’ottica del nostro discorso.
Johnson si è laureato in Lettere Classiche all’Università di Oxford ed è un appassionato studioso di latino e greco. All’epoca in cui era sindaco di Londra si fece promotore della reintroduzione del latino nelle scuole pubbliche inglesi della Greater London. Secondo il leader dei Tories, infatti, il latino «è un inizio eccellente per comprendere la struttura della lingua», pertanto, ha sostenuto, «bisogna evitare che la sua conoscenza sia limitata soltanto a chi ha avuto il privilegio di un’educazione privata».
A questa posizione aggiungo, inoltre, che Johnson è un autore di un importante saggio intitolato «Il sogno di Roma – La lezione dell’antichità per capire l’Europa di oggi». Un testo che ebbi modo di leggere qualche tempo fa. Molto ben scritto e documentato.
Cosa c’entra questo curriculum, direte voi, con la Brexit e il progetto Europa?
È significativo che un conservatore, autore di uno degli strappi più clamorosi nella storia dell’Ue, abbia indicato la via per risolvere i problemi dell’Europa. Riappropriarsi delle radici, ovvero degli elementi comuni che, pure in un mare di differenze, hanno tenuto insieme le nazioni e gli stati europei nel corso dei secoli. Questi comuni denominatori sono la cultura classica – quella greca e soprattutto latina – e quella cristiana.
Nel pieno rispetto delle varie confessioni diffuse nel Vecchio Continente è indubbio che classicità e cristianesimo abbiano contribuito a plasmare la storia dell’Europa, modellando nazioni, popoli, identità e culture.
Non si tratta di affermare un principio di «esclusività» a danno di altre culture, ma ribadire semplicemente un punto da cui iniziare a costruire la nostra identità di europei. Allo stato attuale proprio quello che manca.
Per questo la proposta avanzata qualche tempo fa dall’attuale primo ministro Johnson non solo è efficace ma, permettetemi di ribadirlo, rappresenta l’unico apripista se si desidera un avvenire diverso per il vecchio continente e non quello costituito dall’Europa fintamente progressista che ha generato solo sperequazioni, Troika, dittature finanziarie e monetarie.
Ristudiare il latino, comprendere chi siamo e quale storia abbiamo alle spalle, aprirci al futuro grazie all’insegnamento del passato. Non chiamate conservatore Johnson. Piuttosto un visionario. Un leader che ha capito che l’unico modo per costruire un’Europa diversa è staccarsi dall’attuale Europa, ripensandola. Una decisione forte che in futuro potrà dare frutti inaspettati e sorprendenti.