Nella tanto vituperata, non sempre a ragione, “Prima Repubblica” c’erano delle regole non scritte che da Sinistra, dal Centro, nonché dai poli estremi andavano tenute sempre ben presenti. Erano quelle norme a cui non si poteva assolutamente contravvenire. Un modo di concepire la politica che si portava dietro comportamenti stereotipati, nel bene e nel male, a cui tutti i partiti si adeguavano.
Per assurdo si trovavano giustificazioni, al limite del buon senso, per i personaggi dei partiti che rubavano… a fin di bene. Dove il “bene” era rappresentato dalla necessità di far vivere e prosperare il soggetto politico in cui si militava da dirigenti o comuni soci.
Resta famosa la vicenda dell’allora segretario del partito Socialista Italiano, Bettino Craxi, che in Parlamento denunciò le ruberie dei partiti. Ovviamente il suo compreso. «Basta con l’ipocrisia!»; tutti i partiti, secondo Craxi, si servivano delle tangenti per autofinanziarsi, «anche quelli che qui dentro fanno i moralisti». Era il 29 aprile del 1993, lo stesso giorno in cui giurò il governo Ciampi.
L’ex P.M. di “Mani pulite” Tonino Di Pietro, in un’intervista a Lettera43.it, sostiene che «Craxi si assunse le sue responsabilità e denunciò in eguale misura quelle degli altri, aiutando così la nostra inchiesta. E questo Craxi lo sapeva, non lo fece insomma a sua insaputa, non era un ingenuo. Denunciò il sistema di Tangentopoli nell’aula della Camera e davanti ai giudici del tribunale di Milano. Gli altri invece hanno fatto gli ipocriti e hanno continuato a farsi i ca… loro».
Insomma, secondo Di Pietro, Caxi fu leale e pagò le conseguenze per la sua presa di posizione, mentre altri continuarono come se nulla fosse il vecchio giochino dei finanziamenti occulti. Senza alcun pudore almeno di troncare i messaggi che mandavano all’opinione pubblica sulla trasparenza del loro operato. Quando risultava chiara la loro compromissione, l’assoluta omogeneità a chi pubblicamente aveva dichiarato che “rubava”, sia pur a favore di una “giusta causa”: il mantenimento dei partiti, base essenziale per la democrazia in un Paese civile. Certo, a sentir certe affermazioni di discolpa viene voglia di farsi una sonora risata. In politica può succedere di tutto, ma quando si arriva alla derisione c’è poco da essere alleghi.
Il peggio pare sia proprio purtroppo venuto, più dei soldi rubati con dei magheggi per restare in campo, più delle promesse elettorali non rispettate, più di tutto ciò. “Il peggio” è il ridicolo che deve preoccupare i partiti ed i loro leader.
È passato tanto tempo dai fatti che videro Bettino Craxi scappare ad Hammamet. Ma a guardare lo scenario politico, al di là dei cambiamenti dei soggetti in campo, la storia sembra la stessa, con un’aggravante: la poca preparazione politica dei soggetti che occupano le poltrone di Palazzo Madama e Montecitorio. È chiaro che non è il caso fare di “tutta l’erba un fascio”. Ci sono dei deputati e senatori che veramente fanno onore, con i fatti, al mandato parlamentare ricevuto. Altri, per assoluta incompetenza, no.
C’è stato un periodo in cui Silvio Berlusconi sosteneva che un buon imprenditore non poteva che essere un buon politico. Dal nostro punto di vista la cosa non è assolutamente automatica. La politica è una cosa, l’imprenditoria un’altra.
Alla fine degli anni sessanta, per esperienza personale, ricordo l’impegno che mettevano i partiti per formare i “quadri”, giovani e meno giovani che fossero. La regola fondamentale per andare avanti, allora, per lo meno per la D.C. ed il P.C.I., era la cosiddetta “gavetta”. Certo, tanti corsi di formazione nelle scuole di partito, ma poi esperienza sul campo a partire dalle mansioni più umili. «Gavetta, gavetta, gavetta» era il ritornello che ti sentivi ripetere per poter un giorno arrivare a varcare la soglia del Consiglio comunale, o di Montecitorio, o di Palazzo Madama.
Forse sarebbe il caso che i partiti o i Movimenti oggi in campo riflettessero sulla necessità della formazione, per tutti, nessuno escluso, anche per i portatori di migliaia di voti. No, i consensi non bastano, non sono assolutamente sufficienti a creare un buon politico. È la formazione quello che conta! E quello che sta avvenendo nei Palazzo romani conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, la nostra tesi. I voti non fanno un buon politico!
Elia Fiorillo