Napoli: Collettiva d’arte “Quinta dimensione”. L’eternità dell’effimero

Espongono: BIGAL; Unberto CAROTENUTO; Crescenzio D’AMBROSIO; Antonio LONGOBARDI; Francesco MATRONE; NEOTTO; Mario SAMMARCO; THc. Presentazione Felicio IZZO

La logica oppositiva binaria – bianco/nero; destra/sinistra; bene/male… – fondamento del pensiero occidentale, unisce alla congrua opportunità anche la semplicità di interpretazione. In particolare, tra le molteplici coppie duali proposte da Jacques Derrida , quella Natura/Arte è la più funzionale all’interpretazione della Vita come fugace simulazione dell’eterno.

Una coppia che trova nella scontata dimensione della contrapposizione la sua giustificazione d’essere. Come se la Natura fosse il noumeno, l’essenza, la cosa primitiva e primigenia, e l’Arte una sua manipolazione non solo in funzione di mutamento, ma anche in termini di corruzione. Una sorta di deliberata volontà di defraudarne la purezza. In tal senso, appunto, si utilizza il termine artefatto, nell’accezione di adulterato, contraffatto, falsificato.

Viceversa l’Arte non può che essere scarto, effimero residuo dell’umana operosità. Non silloge di eteree intuizioni, inerzia di associazioni orientate dall’istinto. Ma scoria di pensieri che si adeguano alla materia; una sofferta spoliazione del tempo anche a venire. E in quanto attività superflua, senza alcuna connessione con le funzioni vitali e indispensabili alla sopravvivenza, non può diventare altro. In quanto è già altro.

La sua speranza di futuro non può che durare il tempo della realizzazione, vivere la sicurezza e la redenzione del gesto compiuto, celebrarne la morte col banchetto delle spoglie. Non può che essere in quel momento, e per sempre, fonte di piacere per se stessa. Hic et semper. Persino dove “sunt leones” ad evocare luoghi che potrebbero identificarsi con gli universi paralleli della quinta dimensione.

Perché lo spazio – quello del mondo sensibile, immediatamente percepibile – non è una stanza con delle pareti e un tetto, né il tempo (la quarta dimensione postduchampiana) la luce che la illumina. Ma, insieme, costituiscono, un’unica sostanza, fluida e trasparente, fatta di onde e attrazioni, e granuli, ad osservarli al microscopio, in perenne vibrazione, sostanza nella quale siamo immersi. Noi, fatti della stessa materia. La scienza parla di cronotopo, continuum spazio-temporale; la poesia di “sogno”, indefinito grumo sospeso tra il cielo e la terra

Ecco, allora, che la quinta dimensione, evocata nel titolo, non ne costituisce il superamento, ma sancisce la supremazia, nell’atto creativo assoluto, del big bounce – il grande rimbalzo – sul big bang. Nella sua ricorsività l’Universo sembra confermare l’antico principio della conservazione della massa, quello della trasformazione come postulato dell’eternità. E l’Arte, quella che occasionalmente, nella grammatica quantistica dell’indeterminismo, si identifica con i nostri otto artisti, ne è l’araldo.

“La salvezza è l’eternità!” sembrano dirci le loro opere. Indipendentemente dalla tematica, dalla tecnica, dai materiali utilizzati. Se la pittura nasce come volontà di raffigurare un’assenza e la scultura come illusione di farne un simulacro, tutte le volte che il gesto si rinnova, si ridetermina l’occasione passata, si pronostica quella prossima.

Il tempo si fa istantaneo.

Niente più accumuli o affastellamenti. Né riusi o ricicli o recuperi. E nemmeno inutili richiami alla durabilità degli oggetti di consumo. E men che meno geremiadi sul consumismo che tutti coltiviamo nell’anima come una pulsione di morte alla quale, con una voluttà che alterna senno e prudenza, follia e commiserazione, non riusciamo a sottrarci.

L’Arte non ha bisogno di scarti per glorificarne, nella ricreazione, nell’assemblata ibridazione, l’anima espressiva, perennemente espressiva.

Perché l’Arte è la scoria più nobile dell’Uomo. Con l’orgoglio della sua impura e blasfema orma di divinità. Da sempre effimero punto dell’eternità; veranda di luce sul vuoto del tempo simultaneo.

La si può ordinare, nel computo, come quinta dimensione? Non ha importanza!

L’interrogativo resta: “Ma come si fa a non capire l’unica, esclusiva, vera lezione dell’Arte?”

Se si mettessero insieme tutte le tele del mondo e della storia del mondo, e i marmi e i libri, e gli spartiti, si formerebbe un gigantesco ziqqurat capace di innalzarci sino al cielo. Lì dove pure si arriva tutte le volte che pensiamo, anche solo come oscura ma esaltante premonizione, a qualcosa di effimero che abbia una forma, un colore, un suono, un segno, come pegno dell’eterno.

Lì, dove, nella fluida trasparenza del tempo non più tempo, le miserie degli uomini, nella natura che non smette di ospitarli, appaiono come un unico punto, di atomi in perenne movimento. Ma antico e sereno. Finalmente ordinato. In un senso di pace che rassicura.

Nel momento dello sguardo. E del sentire profondo del cuore.

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