Questa storia inizia nel 1988, più di trent’anni fa. A Barletta, in Puglia. Un signore di nome Francesco Lotoro – di professione pianista – si mette sulle tracce della Shoah. Testimonianze, sopravvissuti, fatti. Insomma, tutto quello che può servire per ricomporre i frammenti di una pagina drammatica dell’umanità.

Detta così, l’iniziativa di Lotoro – pur se lodevole – potrebbe tranquillamente agganciarsi alle tante azioni di sensibilizzazione sull’Olocausto messe in piedi in questi anni e che hanno portato al coinvolgimento di scuole, università e paesi interi affinché tragedie immani come lo sterminio del popolo ebraico non avessero più luogo.

Ciò che rende speciale, però, il lavoro trentennale di Lotoro è il fatto che questo signore si è specializzato nella raccolta, archiviazione e catalogazione della musica composta nei campi di prigionia.

Sì, avete capito bene. La musica. Partiture, testi, note, parole. Una ricerca che ha prodotto un risultato enorme: 8000 partiture raccolte dagli anni ’30 agli anni ’50, e provenienti da tutta l’Europa.

Un patrimonio commovente fatto di bellezza, sensibilità, genio e creatività. Aspetti che ci restituiscono storie di migliaia di uomini – di diversa nazionalità – accomunati da una forza incredibile: non rassegnarsi al male che li circondava.

Da questa ricerca emergono particolari davvero toccanti: partiture scritte sulla carta igienica, nelle condizioni più disparate; ma anche opere buffe, farsesche, oppure impegnate e solenni. Un’oasi meravigliosa dove questi uomini – chiamati ad affrontare un destino di morte  – hanno cercato di resistere e traghettare l’umanità verso una dimensione più alta e pura.

Il tratto comune a questi uomini – molti dei quali italiani internati nei campi di prigionia tedeschi – è l’aver trovato rifugio nell’arte. E non come semplice espediente. Al contrario, l’arte come unica maniera di disegnare il mondo, di riscrivere il rapporto tra gli uomini e il mondo esterno; in parole diverse, l’unico modo per non imbarbarirsi.

Questa galassia di anime e note – scoperta dal maestro Lotoro grazie a un lavoro certosino – rappresenta non solo un contributo essenziale per la nostra memoria e il ricordo, ma soprattutto è un insegnamento universale per tutto quello che stiamo vivendo in queste settimane con lo spettro del Coronavirus.

Perché la paura, il senso di psicosi e di morte che sembra essersi impadronito delle nostre vite, ci rende schiavi, ci paralizza in una dimensione infima che annulla la nostra volontà. In tempi cupi, incerti – segnati dal delirio e dall’ignoranza – l’unica via è riappropriarsi della bellezza, del senso pieno che porta con sé la parola cultura: che non è erudizione, ma coltivare noi stessi per diventare donne e uomini migliori. Donne e uomini non asserviti alla volontà del male.

Proprio come hanno fatto, tanti decenni fa, quegli uomini con un pigiama numerato in mezzo a centinaia di campi sperduti per tutta l’Europa.

 

 

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