Eccoci al secondo appuntamento della nostra rubrica, che non vuole essere assolutamente di critica impegnata ma una sorta di finestra informativa volta a farci compagnia nel lungo ed intricato cammino dell’arte moderna e soprattutto contemporanea.

“Alfabetizzare l’uomo all’arte è un impegno civile”. (Gastone Biggi)

Inevitabile l’utilizzo di termini, tecnicismi o sintesi, che non vogliono rappresentare sfoggio di conoscenza né tanto meno superficialità, ma gli strumenti necessari per una diretta e sobria comunicazione.



Proveremo ad indagare in parallelo due artisti che hanno attraversato nelle rispettive epoche il mondo artistico realizzando affascinanti opere d’arte visiva che attraverso scelte tematiche e formali ci hanno regalato e ci regalano “il raggiungimento del piacere infinito dell’immaginazione dalla quale derivano la speranza, le illusioni”(Leopardi).

Vincent van Gogh

Nell’ambito dell’Arte Moderna non possiamo non iniziare con  il geniale, folle, visionario e tormentato artista Vincent van Gogh.

Van Gogh è il pioniere olandese dell’arte moderna e considerato uno dei padri dell’Espressionismo.

Al di là della sua vita che sembra un interminabile romanzo, sono soprattutto le sue opere, intrise di una forza che erompe dalla tela per colpire gli occhi, il cuore e l’immaginazione di chi guarda, ad essere oggetto del nostro interesse.

Ma una piccola finestra va aperta.

La sua vita si compie tra il 1853 e il 1890 finendo i suoi giorni a soli 37 anni.

Nel luglio del 1869, Cent, zio di Van Gogh, raccomandò il nipote alla filiale dell’Aia della Goupil & Co, una notissima casa d’arte specializzata nella riproduzione di stampe, ma che non esitava ad avvalersi della collaborazione di pittori celebri.

Il giovane Vincent si dedicò, sia pure per pochi anni, con grande coscienziosità e dedizione al suo lavoro, che consisteva nel vendere litografie, fotografie, dipinti, calcografie, acqueforti o riproduzioni, per lo più di opere della scuola dell’Aia o dei pittori di Barbizon.



Tale mestiere, inoltre, lo stimolava ad approfondire tematiche culturali ed artistiche, a leggere e a frequentare musei e collezioni d’arte.

Quindi pur iniziando tardi a dipingere aveva alle spalle un notevole bagaglio di conoscenze artistiche arricchitosi poi con le successive frequentazioni e grazie anche al fratello Theo.

Gli umili, i lavoratori dei campi e i minatori sono i soggetti preferiti da van Gogh, oltre ai numerosi autoritratti, ai paesaggi, ai dipinti con cipressi e alla rappresentazione di campi di grano.

Alcuni avvicinano il suo stile all’impressionismo, ma a differenza degli impressionisti puri, van Gogh nelle sue opere non descrive la realtà dal suo particolare e sensibile punto di vista ma compie l’operazione inversa: è la realtà che diventa una creazione e una rappresentazione dell’io interiore dell’artista tormentato anche dalla malattia e dalla sua religiosità.

Per questo è considerato un pioniere dell’Espressionismo.

Alla nascita dell’espressionismo contribuirono diversi artisti operanti negli ultimi decenni dell’Ottocento.

In particolare possono essere considerati dei pre-espressionisti oltre a Van Gogh, anche artisti come Gauguin, Munch, Ensor.

In tutti questi pittori sono già presenti molti degli elementi che costituiscono le caratteristiche tipiche dell’Espressionismo come l’accentuazione cromatica, il tratto forte ed inciso, la drammaticità dei contenuti.

Ma è soprattutto da Van Gogh e Gauguin che prendono le mosse i fauves (belve), del primo movimento espressionistico francese del 1905 con Matisse, Derain, Vlamink…, i quali fecero propri la sensibilità per il colore acceso e la risoluzione dell’immagine solo sul piano bidimensionale.

Ma anche quello tedesco ne fu di lì a poco influenzato per poi proseguire per la sua strada.

Infatti, l’espressionismo tedesco è un movimento caratterizzato dalla ricerca del soggettivo nella realtà che li circonda. Le metropoli, la vita di strada, il circo, stimolano riflessioni sulla solitudine dell’uomo, sull’alienazione dell’individuo, sull’immoralità. Il segno incisivo e la gamma cromatica acida e accentuata, che rimandano comunque a Van Gogh,  divengono i tratti distintivi di questo movimento.



Molti altri artisti europei di questo periodo potrebbero essere riletti in chiave espressionistica.

È bello lasciare questo artista con questa sua frase: “Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali”.

Sol LeWitt

Nel solco dell’Arte Contemporanea è il maestro dell’arte minimalista e concettuale a farci da guida nel nostro peregrinare. Parlo ovviamente dell’artista Sol LeWitt.

LeWitt nasce nel 1928 a Hartford (Connecticut) negli Stati Uniti e finisce il 23 aprile del 2007 a New York.

Completa gli studi alla Syracuse University di New York e, nella stessa città, insegna alla Museum of Modern Art School e alla Cooper Union.

Le opere di Sol LeWitt sono l’esempio più importante della possibile vicinanza tra la Minimal Art e l’Arte Concettuale, tra il materiale e l’immateriale, un giusto compromesso fra qualità percettiva e concettuale, tra la semplicità dell’ordine geometrico e la ricerca di una bellezza intuitiva.

Se per Minimal art (che dal  punto di vista critico ci si dovrebbe riferire solo alle esperienze artistiche americane di questo tipo ma viene normalmente utilizzato in senso più allargato anche alle esperienze riduzionistiche, analitiche, poveristiche, europee) si intende quello stile ridotto al minimo sforzo creativo e all’utilizzo di materiali “poveri”.

Per Conceptual art si intende un’arte che  non risiede nell’aspetto delle opere realizzate, ma nell’idea, nella parola o nel pensiero percorso per realizzare tale opera.

“Nel mio lavoro, affermava Lewitt, c’è un doppio fuoco: l’idea e il risultato dell’idea. Non ho mai pensato che se la cosa fosse esistita solo come idea sarebbe stata un’idea completa”.

Si sussurra anche che l’arte concettuale in America negli anni Sessanta sia stata una reazione al dilagare dell’idea di Jackson Pollok e seguaci ossia dell’Action Painting che consisteva nel creare l’opera d’arte lasciando cadere o gocciolare la pittura sulla tela, o lanciandovi contro i colori in maniera apparentemente casuale. L’atto fisico di creazione diventa così parte integrante dell’opera.



Sol Lewitt dalla sua visione artistica sosteneva che: “Al primo posto c’è il cervello, le linee non sono messe a caso o per capriccio, ma con un senso di direzione che nel tempo diventa sistema già preesistente nel cervello. Perciò viene prima il concetto, poi le linee che sono usate come simbolo della memoria…”.

Un artista, però, non è un filosofo e tantomeno uno scienziato, infatti LeWitt pensa che l’arte concettuale non possa essere una semplice illustrazione di un sistema filosofico e che neppure sia necessariamente logica.

La razionalità di LeWitt non è però meccanicistica e neppure una ricerca della perfezione ma il risultato di un percorso mentale soggettivo, non privo di contraddizioni, salti e conflitti prima di arrivare, dall’intuizione iniziale, all’idea del progetto finito.

LeWitt è molto chiaro nel sostenere che l’arte non è solo quella concettuale. Ci sono tanti modi per fare arte, e il suo è quello che gli funziona meglio.

Insomma, un’avventura estetica che si articola con straordinario rigore dagli anni Sessanta fino ai Duemila, nel tentativo di esplicitare l’archetipo della visione.

Elemento primario di questa indagine la linea, che diventa quadrato, cubo, poliedro, pittura murale, installazione.

La ricerca artistica per Sol LeWitt è ricerca di una forma spaziale e temporale, a partire dall’idea, dal processo mentale.

Un’esperienza estetica che porta dentro di sé la possibilità di un momento mistico, fatto di silenzio, osservazione e comprensione.

“Gli artisti concettuali sono dei mistici piuttosto che dei razionalisti. Saltano a conclusioni che la logica non può raggiungere” (Sol Lewitt).

Raffaele Pisacane




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