Se non vado errato correva l’anno 1965 quando mi capitò, per combinazione, un fatto che per certi versi, in positivo, mi ha condizionato la vita. A quell’epoca avevo diciassette anni e frequentavo le scuole superiori. Un ragazzo come tanti a cui piaceva fare sempre esperienze nuove.
Oltre allo studio passavo il mio tempo in Parrocchia, “la Parrucchiella” così veniva chiamata la chiesa dedicata all’Immacolata Concezione, a due passi da casa mia, a Torre Annunziata. Quella Chiesa era la mia seconda dimora. Ci facevo di tutto. Dal giocare con gli amici, ad aiutare il parroco dell’epoca, don Giovanni Manzo, a compilare i “libri” della Parrocchia. Quelli in cui si trascrivono i matrimoni, i battesimi, i deceduti e via dicendo. Ricordo ancora la bella penna stilografica con cui, in stampatello, compilavo i registri. Eppoi, ogni domenica, leggevo il vangelo dall’altare e servivo la santa Messa. Insomma, un impegno a tempo pieno a vico Pace dove c’era l’entrata della sagrestia e più avanti l’alto cancello che separava il cortile dell’oratorio dalla strada.
Mi trovai per caso un giorno ad assistere ad una conversazione tra il parroco e un mio conoscente più grande di me. Uno che saltuariamente bazzicava il centro di formazione professionale annesso alla Parrocchia, Giggino Enipeo. Era in procinto di partire per Milano, per partecipare ad un corso di specializzazione finanziato dalla Cassa del Mezzogiorno, presso la Società Umanitaria che è una delle istituzioni storiche di Milano. Ente morale, è stata fondata nel 1893. Con lui doveva partire anche un altro docente del corso di formazione, Giuseppe Sellitti, ma all’ultimo momento questi aveva dato buca. Come fare? Il parroco non si scompose. Guardò me e mi disse di prepararmi perché sarei partito con Enipeo e mi sarei chiamato Giuseppe Sellitti. Mi fece una raccomandazione perentoria, non svelare mai il tuo vero nome e non accettare rimborsi spese. Per il viaggio ci avrebbe pensato lui. Le perplessità in me erano tante, ma come non andare a Milano la prima volta nella mia vita?
Ricordo il viaggio notturno estenuante e la valigia di cartone prestatami da mia nonna Angelina, pesantissima. Appena arrivati, a Giggino ed io, ci venne assegnata una bella stanzetta nel convitto, a pochi passi dell’entrata principale della Società, in via Daverio, dietro il Palazzo di Giustizia di Milano. Al piano terra c’era il ristorante che per tre volte al giorno ci vedeva lì affamati: colazione, pranzo e cena.
Dalle nove di mattina cominciavano le lezioni fino all’ora di pranzo. Il pomeriggio era libero. Non sapendo che fare puntualmente me ne andavo a passeggiare a piazza Duomo che era abbastanza vicina alla Società. Giravo e rigiravo. Entravo in Duomo, ne riuscivo. Poi andavo a godermi la galleria, per me letteralmente faraonica. Poi andavo alla stazione centrale per telefonare a casa. Mi cominciai a stancare dopo un po’ di giri in solitaria al centro di Milano. Il mio compagno di stanza Gigino, scompariva letteralmente. Lo vedevo a colazione, pranzo e a cena. Non ho mai ben capito che andasse facendo. A caccia di belle milanesi? Forse.
Un giorno venne a fare lezione un signore che ad un certo punto si qualificò come un responsabile di un gruppo di boy scout. Io allora ero il capo del gruppo scout Torre Annunziata 2°, da me fondato. Gli dissi subito che anch’io ero uno scout e che scrivevo sulla rivista “Estote Parati”. Lui mi guardò con sospetto dicendomi che Giuseppe Sellitti non scriveva per quel giornale. Fu a quel punto che gli spiegai tutto, pregandolo di tacere.
Era sera inoltrata e, ricordo, che già ero a letto a leggere. Mi arrivò una telefonata di una segretaria che conoscevo. Con voce preoccupata mi dice: “Domani, alle dieci, devi andare dal presidente. Ti ha convocato. La devi aver fatta grossa”.
Ore 10, ero in anticamera del presidente dell’Umanitaria. Fui subito introdotto. Mi squadro da cima a fondo eppoi mi chiese: “Come ti chiami veramente. A me non dire balle che ti mando a ’scopare il mare di Napoli’. Capii subito che dovevo dire la verità. Gli raccontai tutto, con una grande paura di essere cacciato. “Il tuo parroco è pericoloso – mi disse – eppure stron…, diglielo a nome mio. Da domani firmerai con il tuo nome e cognome. E avrai anche i rimborsi spese”.
Elia Fiorillo