L’ho visto. Anni fa. Ma l’ho visto, «‘O quatto ‘e maggio». E non uno solo, almeno tre o quattro. Tra vicoli e cortili del vesuviano, la, dove abito. Dove sono nato e dove vivo. Da sempre. Negli anni Cinquanta del secolo passato. Quest’anno, però, la data sarà ancora più da ricordare: il quatto ‘e maggio del 2020, scaserà, cambierà casa, sarà sfrattato, cu na mana annanze a n’ata arreto, si spera, anche stu virus fetente che ha messo il munno a remmore.

Per quella data, difatti, è prevista la ripartenza dopo sta “quarantena”, che è diventata quasi “sessantena”, che ha visto il mondo intero soffrire lutti e miserie. Senza distinzioni di sesso, ceto e colore della pelle. A ricordare adesso e a ripercorrere con la mente le immagini, ancora vivide, dei quattro di maggio antichi, quelle istantanee che sto cacciando dal «tiraturo» della memoria, pare siano trascorse innumerevoli ere geologiche. Come quelle che dalla scomparsa dei dinosauri sono arrivate sino ai giorni nostri, attraverso una serie di evoluzioni e fasi. E, davvero non sto scherzando. La cosa è seria, anche se ai quattro lettori che avranno la bontà, più per delicatezza che altro, di seguitare a scorrere queste righe potrebbe apparire una facezia.

Dinosauri, si diceva. Certo. Fatte le debite proporzioni, i “dinosauri” di quel periodo erano cavalli e asini. Perché appunto essi erano il motore che veniva attaccato alle carrettelle, caricate sino all’inverosimile cu ‘a mubbiglia e le scartepelle che andavano a costituire la scena teatrale dello sfratto ‘e casa.

Scena  sulla quale si muovevano gli attori principali: ‘a mamma, che dava ordini, ‘o pate, che eseguiva: na tribù ‘e figli che incartavano nei fogli di giornali vecchi tutta la cristalleria della casa: ‘o servizio ‘e tazze buono e quello di bicchieri che la commara di fazzuletto gli aveva fatto quando il padre e la madre si erano sposati. Subito dopo venivano  i piatti. Prima quelli sani. Poi gli altri, quelli che il conciapiatti aveva cucito con filo metallico e ricoperto con pasta di creta, per nascondere le cicatrici di inopportune cadute. E, ancora, ruoti, tielle, caldarini e tiane. Perché allora, le cucine economiche, a legna, o i pibbigas erano ancora pochi: tante erano ancora le cucine di fràveca, di muratura.

Lietto, matarazzo, saccone, e qualche mobile come n’armadio, nu cummò e ddoie culunnette, e pure il cantaro a due manici con cummuoglio (chi teneva il cesso in casa era un signore), erano le ultime a essere “salite” ncopp’’a carretta.

Ovviamente l’operazione di carico era complicata perché bisognava equilibrare il tutto e non appesantire una parte del trasporto a discapito dell’altra. Pena, la possibilità che asino o cavallo scunusciasse o non ce la facesse sulle salite. A osservare tutto e tutti, da una postazione privilegiata era la nonna. Che se ne stava seduta sulla sedia di paglia aspettando il momento per alzarsi e partire. Partire? Per dove? Per la casa nuova… spesso una stanza con cucinotto, a due trecento metri di distanza, nel vicolo accanto, lasciata qualche minuto prima da un altro pesunante, che si era fatto il suo quatto ‘e maggio. E che magari andava a occupare “il quartino” che era stato appena lasciato da quello che si sarebbe sistemato nel suo.

A volte, quando non c’era la possibilità di fittare la carretta, vera e propria “ditta traslochi” dell’epoca, ci si faceva prestare un carrettino da chi lo teneva. In quel caso il cavallo era il marito. E la mano a far girare la ruota arrivava dai figli.

Quando i dinosauri – cavalli cominciarono a estinguersi… arrivò il “futuro”: Laika fece un paio di rotazioni attorno alla terra e nel vesuviano i tre rote e le laparelle, come gli sputnik sovietici, presero a girare vorticosamente tra vicoli e cortili, con le “case fatte” e i matarazzi sui pianali. Altra era, altra mutazione… arrivarono i traslochi. E allora tutto fu diverso. Scientifico e calcolato. Con scale mobili e telecomandi. Niente più maglie surate, niente più iastemme.

‘O quatto ‘e maggio, quello vero, quello che fu imposto ai napoletani, come narrano le leggende, per decreto dal governatore spagnolo, era definitivamente morto. Come si spera “morto” sarà stu commesechiamma ‘e virus che il quattro ‘e maggio dovrà cominciare a scasare. Metteremo il cartello “non si fitta ai virus: core fatte curaggio ca chistu cca sarrà nu grande quatto ‘e maggio”. Per tornare a campare. Davvero

Carlo Avvisati

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