Il professore Francesco Le Foche, Primario di immuno-infettivologia al day hospital del Policlinico Umberto I di Roma, è senz’altro ottimista e si esprime prendendo in prestito una frase che si usa di solito negli ambienti calcistici: “Siamo in zona Cesarini“.
L’immunologo ha detto la sua, in merito a questa fase dell’emergenza, all’interno del programma radiofonico ‘I Lunatici’ di Rai Radio 2.
“Siamo in zona Cesarini, cioè in una zona terminale della pandemia, i nostri comportamenti proprio per questo devono essere ancora più responsabili per avere uno sviluppo migliore nel periodo estivo. Il comportamento degli italiani è stato perfetto, al di là di queste movide che mi pare possano incidere non moltissimo sulla fase della pandemia perché la gran parte degli italiani si è comportata in modo ammirevole”, afferma Le Foche.
“Bisogna dare a questi ragazzi una comunicazione credibile e empatica – continua il medico – per farli entrare in una forma mentis che sia rispettosa della salute pubblica. Servono i comportamenti giusti, bisogna entrare in una nuova forma della normalità, in cui si applichi l’educazione civica e fare in modo che questo periodo bruttissimo passi. Il quadro pare essere assolutamente confortante”.
Non bisogna parlare di “distanza sociale”
Ma abbiamo colto un aspetto della sua comunicazione, che ci preme diffondere, e riguarda proprio il concetto di “distanza sociale”, al quale Le Foche sottolinea: “Non parliamo di distanza sociale“.
“Bisogna parlare di distanza interpersonale ma non sociale. La distanza sociale non ci deve essere. Non bisogna fare confusione su questi concetti. Serve distanza interpersonale ma coesione sociale“, dice il primario del Policlinico Umberto I di Roma.
“Bisogna comportarsi nel modo giusto – aggiunge ancora l’immunologo – evitare gli accessi di alcolici che potrebbero favorire una disinibizione portatrice di comportamenti inadeguati. Bisogna parlare nel modo giusto ai ragazzi, che hanno tutti i presupposti e le caratteristiche per accettare questo modus vivendi”.
Seguono altri punti dell’intervista
Il suo punto sulla circolazione del virus
“Io da clinico osservo i casi che arrivano al pronto soccorso e mi ero accorto dai casi che arrivavano che sembravamo delle sindromi meno aggressive rispetto a quelle che vedevamo qualche tempo prima.
La deduzione che ne segue è che dopo il lockdown la quantità di virus che circola si è ridotta enormemente.
Il quadro clinico potrebbe essere dato da una riduzione della carica virale che infetta il paziente. Il virus poi tende a ridurre la sua aggressività rispetto alla cellula che infetta. A Brescia, poi, è stato isolato un virus di tipologia diversa da quella che normalmente abbiamo visto. Anche in Cina sono stati visti un paio di virus diversi rispetto a quelli che sembrerebbero essere in campo in questa sindrome. Virus di questo tipo si replicano molto ma non sono così aggressivi”.
Il Coronavirus andrà via prima del vaccino?
“La fine dell’emergenza? Io credo che arrivi prima del vaccino. Ma il vaccino non può essere messo in dubbio in termini teorici concettuali, è stato alla base della sconfitta delle malattie infettive più importanti. Sul vaccino siamo a buon punto, ci sono già dei vaccini che sono stati anche iniettati e hanno prodotto degli anticorpi neutralizzanti.
Valutiamo chi riesce a produrre un vaccino più efficace e poi valuteremo. Il concetto di vaccino è un baluardo per la salute pubblica. Seconda ondata? Non sappiamo se accadrà, ma siamo pronti. Abbiamo interpretato tante cose di questo virus, non mi preoccupa una seconda ondata”.