E’ sempre ferma al 31 ottobre la data della chiusura effettiva della Whirlpool di Napoli, ma egualmente decisa è la posizione assunta dai lavoratori che, fino alla fine, hanno deciso di contrastare la sentenza emanata dalla multinazionale americana.

L’ennesima provocazione arriva tra le strade di Napoli: un manichino impiccato che rappresenta la speranza, ormai appesa ad un filo, di tutti gli operai dell’azienda.

Un’immagine forte, ma anche una richiesta di aiuto e di maggiore attenzione da parte delle istituzioni.



Quel fantoccio sospeso dal ponte di via Galileo Ferraris, è l’emblema dell’inferno che gli impiegati della Whirlpool dovranno affrontare quando verranno spenti i “riflettori” dei media su questa vertenza.

Un clima di disillusione, quindi, quello che aleggia fra i dipendenti, non più disposti a credere a promesse che, puntualmente, non vengono mantenute da chi avrebbe dovuto tutelarli.

“Gli accordi, Whirlpool, non li hanno mai rispettati! Prima Renzi, poi è stata la volta di Di Maio. E questa volta? Ci penserà Patuanelli a mettere una pezza?” ribadisce Francesco Pietricciuolo, operaio Whirlpool che già precedentemente aveva rappresentato i pensieri e le considerazioni dei lavoratori coinvolti.


“Investimenti, rientro di produzioni dall’estero in Italia, ammortizzatori sociali conservativi, incentivi all’esodo. Tutto uguale. Stessi elementi su cui si fondava anche il precedente accordo, quello del 2015/2018, che veniva stipulato subito dopo l’acquisizione della marchigiana Indesit, grazie all’intervento straordinario dell’ex premier Matteo Renzi”.

Un piano industriale però, sembrava essere ben diverso da ciò che auspicava l’ex presidente del Consiglio: “…comprendeva, infatti, la chiusura di tre siti produttivi, fra cui Carinaro (5.150 lavoratori in totale)”.

Il 31 Maggio 2019, Whirlpool annunciava poi la chiusura del sito di Napoli, nonostante la precedente promessa di consolidare e rafforzare i siti produttivi in Italia come aveva anche affermato Luigi Di Maio, dichiarando di aver firmato un accordo volto a garantire ulteriori investimenti dell’azienda in Italia.

“Alla faccia del nostro bel Paese, come affermava Luigino” – continua Francesco – “l’Italia resta ancora un bel posto per fare business, prendere soldi dallo Stato, dagli italiani, e andare via!”




Ad oggi, le responsabilità sembrano riversarsi sulle spalle di Stefano Patuanelli, attuale ministro dello sviluppo economico, che all’annuncio della confermata chiusura dell’azienda ubicata a Napoli Est, aveva replicato: “Una decisione grave ed inaccettabile.”

Una “bella patata bollente”- come viene definita dai lavoratori – quella lasciata fra le mani del ministro, che sembra essere stato integrato appieno dalla lotta degli operai partenopei.

“Diciotto mesi di lotta ti hanno preso il cuore, hai aspettato mesi per gridarlo e finalmente, su quel palco, nel cuore di Napoli, non sei riuscito a trattenerlo, preso dalla passione hai gridato: NAPOLI NON MOLLA!”

Il 31 ottobre si avvicina, ma i lavoratori stringono i denti e non mollano, consapevoli forse di essere anticipatori di una battaglia che non riguarda più soltanto loro ed il loro futuro.

“Come disse tanto tempo fa un mercenario su un bel cavallo bianco: O si fa l’Italia o si muore! Ma noi non siamo mercenari, siamo italiani e orgogliosi di rappresentare il popolo Napoletano. L’italia può ripartire solo dal nostro esempio.”

Elvira La Rocca



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