Ho avuto sempre la “passione” per lo scrivere. Francamente non so quale sia stato il “fiammifero” che ha acceso questo trasporto. Direi una cosa naturale, essendo “figlio unico di madre vedova”, e non avendo avuto esempi da seguire. Fin da ragazzo mi piaceva elaborare. A scuola in italiano avevo il massimo dei voti. In matematica… lasciamo perdere.
Quando frequentavo l’oratorio salesiano avevo predisposto un ciclostilato, che io chiamavo “giornalino”, in cui raccontavo gli eventi, i “fatti del giorno”, a partire dai risultati dei vari tornei di calcio che si svolgevano da quelle parti.
Correva l’anno 1968 quando mi iscrissi all’università. Ebbi, allora, tramite la mia “fidanzata” dell’epoca, la possibilità di conoscere un giornalista che da poco tempo pubblicava un mensile, “La voce della provincia”, che raccontava la vita di una realtà complessa com’era allora la città di Torre Annunziata. E fu così, per combinazione, che cominciai a scrivere. Ricordo ancora il titolo del primo “pezzo” pubblicato sulla “Voce”: “Il caro funebre”. Niente di funesto, solo la storia di quanto super-costava un funerale. Essendoci pochissime strutture per il trasporto dei cadaveri al cimitero, si può ben immaginare gli alti costi. Allora il trasporto avveniva con mastodontici cavalli che tiravano un’enorme urna di cristallo dov’era ben visibile la cassa con il feretro. I cavalli che tiravano il carro funebre potevano essere sei o otto. Tutto dipendeva dalle disponibilità degli eredi del “de cuius”.
Non mi limitavo solo a scrivere articoli, a correggere bozze in tipografia, ma una volta stampato il giornale portavo anche le copie ai vari distributori che non si trovavano solo a Torre, ma anche nelle città vicine. Partivo da casa mia circa verso le sette del mattino, con una vecchia cinquecento scassata del proprietario del giornale, e facevo il giro anche nei comuni vicini per distribuire “La Voce” fresca di stampa. Premetto che in termini economici non ci guadagnavo una sola lira, ma la passione è passione!
Una delle mie speranze, quando collaboravo con la “Voce”, era di diventare “giornalista pubblicista”. C’era bisogno di un certo numero di articoli “retribuiti” per diventare pubblicista. Il numero di articoli l’avevo raggiunto. Per la retribuzione, pur non avendo preso una lira, la prassi voleva che il direttore del giornale predisponesse una dichiarazione in cui si diceva che tu avevi avuto pochi spiccioli a “pezzo”. Tutto qui.
Insomma, dopo tanta fatica, il mio sogno si stava per coronare, ma poi tutto saltò per aria. Il motivo non lo ricordo, ma litigai con il direttore-proprietario del giornale. Che delusione! Il tanto atteso tesserino da “pubblicista” me lo potevo scordare.
Allora collaboravo saltuariamente con il giornale della Curia napoletana: “Nuova stagione”. E così, intensificando la collaborazione, con l’aiuto del direttore Luigi Maria Pignatiello, nato il 16 febbraio 1925 ed ordinato sacerdote a soli 22 anni, riuscii a diventare “giornalista pubblicista”.
Le “combinazioni” a volte sono il sale della vita. Te la possono modificare in un batter d’occhi.
Nella metà degli anni settanta, finito il servizio militare negli “assaltatori”, anche se figlio unico di madre vedova, tornai a lavorare in Regione Campania, a Palazzo Reale. Posto incantevole in tutti i sensi. Io avevo l’ufficio che affacciava su Piazza del Plebiscito. Se eri per un attimo pensieroso o triste bastava che guardassi quell’immenso “ben di Dio” che tutto passava. Lì, a Palazzo Reale, per un’altra combinazione conobbi un personaggio all’apparenza bisbetico. Anzi, faceva tutto per farsi considerare tale, probabilmente perché era una persona molto dolce e legata ai suoi affetti. Ma essendo il vice segretario nazionale del Sindacato dei giornalisti, a suo avviso, doveva apparire “tosto ed irremovibile”.
La conoscenza con Mimmo Castellano non solo mi ha dato un esempio da seguire, ma anche la possibilità di fare esperienze per me inimmaginabili: sono stato Consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti e del Sindacato. Momenti indimenticabili, anche quando per diverse ragioni, troppo lunghe da elencare, si sono trascinate dietro amarezze infinite.
Ma chi più di altri mi “cambiò la vita” fu un sindacalista della Cisl, Mario Ciriaco. Lo incontrai ad un Campo scuola. Capendo la mia passione per il sindacato m’invitò a collaborare con la Cisl Campania. Siamo alla metà degli anni settanta. Accettai la collaborazione e mi ritrovai a fare esperienze bellissime ed indimenticabili a favore dei lavoratori. E per tutta la vita sono rimasto in questa splendida organizzazione.
Elia Fiorillo