Più di 190 anni di carcere per capi e gregari del clan D’Alessandro. E’ la richiesta formulata dal pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, nell’ambito del processo Domino che vede alla sbarra il gotha della cosca scanzanese. Tutti devono rispondere di associazione a delinquere, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. E’ di 20 anni la richiesta di carcere per Sergio Mosca, ritenuto dagli inquirenti ex reggente del clan D’Alessandro.

Queste invece le altre richieste di condanna: Antonino Alfano (13 anni), Maurizio Amendola (8), Carmine Barba (6), Marco Cimmino (6), Francesco Ciurleo (2 anni e 4 mesi), Francesco Delle Donne (18 anni), Francesco Di Maio (3), Antonio Longobardi (16), Alfonso Perillo (12), Marco Schettino (8), Vincenzo Schettino (12), Roberto Somma (8), Nino Spagnuolo (18), Giovanni Tufano (12), Ciro Vitale (16), Giuseppe Vuolo (14). Sempre nell’ambito dello stesso processo, lunedì furono richiesti 20 anni di carcere nei confronti di Giovanni D’Alessandro (alias Giovannone), a sua volta ritenuto una figura apicale del clan del rione Scanzano.



La requisitoria di Antonio Rossetti (alias o’guappo) è stata invece rinviata al 30 novembre prossimo. L’operazione si svolse lo scoso giugno, quando finirono in manette i vertici della malavita stabiese. Tra i capi d’accusa, inoltre, figurano anche la detenzione illecita e cessione di sostanza stupefacente, reati tutti aggravati dalle finalità mafiose. Alcuni degli arrestati infatti agivano avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza al clan D’Alessandro, nonché al clan Afeltra – Di Martino. Le indagini riguardano un ampio spettro temporale compreso tra il 2017 ed il 2018, dove si è dimostrato che il clan D’Alessandro aveva assunto il monopolio del mercato degli stupefacenti.

Sotto l’influenza del clan l’intera area stabiese e penisola sorrentina. Inoltre, grazie alla strategica alleanza con il clan Afeltra-Di Martino, tale sistema era esteso anche sull’area dei Monti Lattari. l meccanismo era stato creato ad hoc e prevedeva una piattaforma unica per la distribuzione della Marijuana sulle diverse piazze di spaccio. Tutto avveniva sotto la regia di un direttorio composto da elementi di massimo vertice del clan D’Alessandro, che fissava il prezzo minimo di vendita dello stupefacente. Lo scopo era ricavarne una quota fissa da destinare al mantenimento degli affiliati detenuti ed alle rispettive famiglie.



Per l’acquisto degli stupefacenti, su larga scala, il clan D’Alessandro si era affidato nel corso del periodo d’indagine ad una rete di ‘broker’. Gli intermediari reperivano lo stupefacente attraverso nuovi canali di approvvigionamento, che fungevano da intermediari per il clan nell’acquisto del narcotico. Il canale di approvvigionamento maggiormente utilizzato dagli affiliati del clan D’Alessandro è risultato essere quello calabrese, riconducibile alla potente cosca di ‘ndrangheta dei Pesce-Bellocco operanti a Rosarno. Nel corso delle indagini ed a seguito di apposito servizio di osservazione e pedinamento, venivano intercettati due trasporti di marijuana provenienti da Rosarno. L’operazione consentì l’arresto dei corrieri del clan e il sequestro di circa 25 chili di marijuana. Nella circostanza la sostanza stupefacente era stata occultata e coperta dalla frutta.



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