Per gli inquirenti era diventato il terrore degli imprenditori dell’area Monti Lattari. Da quando il padre Leonardo (alias o’lione) è stato arrestato, era Antonio Di Martino a guidare gli affari illeciti della cosca. Affari che, spesso, si materializzavano nelle estorsioni agli imprenditori del circondario e al traffico di droga. La cosca dei Di Martino infatti, secondo le risultanze investigative della Dia, era riuscita a mettere su un commercio di marijuana prodotta in loco, che valicava anche i confini della Campania. Un business molto fiorente, visto che la marijuana prodotta dai Di Martino tra i boschi del Faito e dei Monti Lattari riforniva in maniera costante tutte le principali piazze della regione.
Il boss Antonio Di Martino: la scalata
Una continua scalata ai vertici criminali dell’area stabiese e Vesuviana, quella dei Di Martino, suggellata anche dal patto di alleanza con i D’Alessandro di Castellammare, con l’espansione degli affari illeciti anche in penisola sorrentina. A suggellare questo accordo sarebbe stato il matrimonio tra Fabio Di Martino (fratello di Antonio) e la figlia di Paolo Carolei, boss dei D’Alessandro attualmente sottoposto in carcere al regime di 41-bis. Questo almeno è quanto riferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli da Pasquale Rapicano, ultimo collaboratore di giustizia della camorra di Castellammare ed ex soldato dei D’Alessandro.
I verbali dell’Antimafia
Dagli ultimi verbali raccolti dall’Antimafia, emerge che sono state proprio queste nozze ad aver consolidato l’alleanza, che ha permesso ai narcos dei Lattari di mettere le mani sulla penisola sorrentina, zona da sempre “appetita” dalla criminalità organizzata, in particolare per lo spaccio. “I Di Martino non sono solo relegati a Pimonte – chiarisce Rapicano – ma si sono estesi fino a Gragnano, Lettere, Vico Equense e Sorrento”.
L’enorme inchiesta “Domino”
Le parole emergono dagli atti nell’ambito dell’inchiesta “Domino”, una enorme indagine che ha svelato l’esistenza di un accordo segreto tra le cosche di Iuvani e Scanzano per gestire, in regime di monopolio, l’affare legato al traffico di sostanze stupefacenti nell’area stabiese. Fondamentali sono state dunque le dichiarazioni di Rapicano, detto Lino o’capone. L’ex killer pentito, condannato all’ergastolo in Appello per l’omicidio di Pietro Scelzo, ha reso ai magistrati numerose dichiarazioni in merito ai rapporti d’affari instaurati tra le due cosche alleate per l’affare spaccio.