Individuata una variante italiana al Sars- CoV-2, che come quella inglese presenta una lieve mutazione nella sequenza del virus originario. Tuttavia la diversa “versione” del virus cui tutti siamo abituati non sarebbe, secondo i virologi, così determinante da influire negativamente sull’efficacia del vaccino.
La scoperta, avvenuta accidentalmente, ha confermato che la mutazione circolerebbe in Italia già dal mese di agosto, se non prima e non solo sarebbe antecedente a quella inglese emersa a settembre e diffusasi poi in Europa, ma potrebbe anche essere precorritrice. Questo quanto affermato dal Presidente della Società Italiana di virologia (Siv-Isv), Arnaldo Caruso, Ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all’università degli Studi di Brescia e direttore del Laboratorio di microbiologia dell’Asst degli Spedali Civili di Brescia.
L’indagine che ha condotto gli studiosi a questa rivelazione ha preso il via dalla reazione anomala di un paziente oncologico del professor Caruso che aveva contratto il Covid ad agosto. Nonostante Il malato fosse poi guarito spontaneamente, i tamponi effettuati successivamente avevano continuato a rilevare una persistenza virale anomala che non trovava una spiegazione. Dopo mesi di controlli ed incertezze a novembre il team di Caruso ha deciso di sequenziare il virus identificando la variante. A quel punto è stato sequenziato anche un campione dello stesso paziente ottenuto ad agosto e si è constatato che la mutazione era già presente nel virus che aveva attaccato il paziente all’epoca il che poteva quindi giustificare la reazione anomala.
“Ora ne vanno studiati con attenzione gli effetti – ha affermato Ciccozzi – ma in termini di letalità e di contagiosità non cambia nulla né rispetto alla versione più diffusa del Covid né rispetto alla variante inglese che secondo gli anglosassoni si diffonde più rapidamente”.
“La mutazione italiana – ha aggiunto ancora – come quella inglese, non dovrebbe in nessun modo mettere a rischio l’efficacia del vaccino”.
Anche Caruso si dice ottimista e precisa “Il vaccino genera una risposta complessa verso tante aree della proteina Spike. Anche se vi fossero alcuni anticorpi non in grado di riconoscere una zona mutata, ce ne sarebbero sicuramente altri in grado di legarsi a porzioni non mutate della proteina. Il loro legame sarebbe sufficiente a impedire l’interazione tra Spike e recettore cellulare, anche solo per una sorta di ‘ingombro sterico’ che gli anticorpi creerebbero sulla superficie del virus. In poco tempo avremo comunque una risposta certa a questa domanda”.
“L’alta carica virale presente nei tamponi di agosto e novembre – ha aggiunto il numero uno dei virologi italiani – ci ha permesso di isolare a Brescia i mutanti virali. Questo ci permetterà di cimentare questi virus con i sieri di pazienti Covid-19 ottenuti durante la prima ondata pandemica, e di valutare la capacità degli anticorpi di neutralizzare questa variante rispetto ai ceppi virali circolanti in precedenza. Appena disponibili, verranno valutati in modo analogo anche sieri di pazienti vaccinati”.