Una notizia incoraggiante nella lotta al Sars-Cov-2 arriva dal campo della ricerca italiana. Un gruppo di ricercatori guidati dall’italiano, di Mandello del Lario, Davide Corti, direttore del centro di ricerche svizzero Humabs BioMed, azienda del gruppo americano Vir Biotechnology Inc, che ha sviluppato nei laboratori di Bellinzona un anticorpo monoclonale in grado non solo di ridurre dell’85% le ospedalizzazioni e i decessi causati dal Covi-19, ma anche di contrastare in modo efficace le mutazioni del ceppo originale sinora scoperte.
Il farmaco, secondo quanto hanno potuto appurare gli studiosi durante la sperimentazione che ha superato in anticipo la terza fase, considerati i risultati positivi, sarebbe in grado di fermare il virus prima che si propaghi nel corpo del paziente e di individuarlo nelle cellule già colpite.
L’anticorpo monoclonale denominato VIR-7831, potrebbe rappresentare veramente uno slancio in avanti nelle corsa contro il Covid ed un’ulteriore freccia all’arco dei medici. La sua caratteristica peculiare, a differenza di quelli già in uso negli Stati Uniti è di saper riconoscere anche le varianti del ceppo originale e al contempo stimolare il sistema immunitario a “liberarsi” del virus, laddove il virus si sia già annidato nelle cellule umane.
“Sono risultati straordinari – ha dichiarato Davide Corti – e per noi è stata una giornata da ricordare. Ad oggi si tratta di un farmaco sperimentale – ha aggiunto – ma presto, con i dati ottenuti, diventerà un farmaco a tutti gli effetti. Abbiamo già avanzato richiesta della procedura accelerata di autorizzazione alla FDA americana e richiesta di autorizzazione alle altre agenzie del farmaco, compresa quella europea”.
Le tempistiche di approvazione “saranno sicuramente più veloci negli Stati Uniti – ha spiegato il ricercatore – dove contiamo di ottenerla in qualche settimana, mentre in Europa i tempi sono generalmente più lunghi perché non c’è una procedura accelerata”.
Allo stato attuale i maggiori risultati sono stati ottenuti nella fase iniziale della malattia e in quei pazienti ritenuti “a rischio”, vale a dire gli over 55 o coloro che sono affetti da altre patologie. Resta ancora da chiarire ed approfondire, con ulteriori studi, il beneficio che il farmaco potrebbe apportare nella fase avanzata della malattia o in fase preventiva, utilizzato cioè al pari di un vaccino.