Decine di imprese edili stabiesi (e di altri settori) al completo servizio del clan D’Alessandro. Aziende guidate da veri e propri prestanome della cosca del rione Scanzano, che riescono a infiltrarsi nel tessuto economico cittadino e, spesso, anche negli appalti pubblici. E’ il nuovo filone d’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che punta a far luce sugli intrecci tra camorra e mondo imprenditoriale nella città stabiese. Un modello, quello delle imprese della camorra pronte a ricevere appalti pubblici, che fa il verso al clan dei casalesi e al suo modo di agire per conquistare un ruolo di primo piano su scala regionale. Sono stati i collaboratori di giustizia a riferire i nuovi business della camorra stabiese, facendo leva sulla compiacenza di decine di aziende a completa disposizione del clan D’Alessandro.
E così le indagini della magistratura non riguardano più soltanto boss e gregari della cosca di Scanzano, ma anche quei fiancheggiatori che (secondo gli investigatori) sono fondamentali per la sopravvivenza dell’organizzazione criminale a faide e arresti. E così nelle deposizioni dei pentiti vengono citate decine di aziende che sarebbero riconducibili al clan D’Alessandro e di imprenditori a cui il clan avrebbe prestato soldi per affermarsi. Un elenco lungo, tra cui spiccano i nomi di alcune delle più grandi aziende di Castellammare, che ora è al vaglio degli inquirenti. L’obiettivo dunque è quello di scovare le “teste di legno”, i colletti bianchi che agiscono per conto dei D’Alessandro. Scovare le aziende che sono riconducibili alla camorra e smantellare un sistema radicato da anni.
Del resto a Castellammare sono state concluse già due inchieste che hanno smascherato questi rapporti: a partire dall’arresto di Liberato Paturzo, tuttora in carcere e ritenuto dall’Antimafia a tutti gli effetti “l’imprenditore che più di altri rappresentava gli interessi della cosca di Scanzano”. Secondo gli inquirenti Paturzo (tuttora in carcere) era l’uomo d’affari della cosca di Scanzano. Il costruttore edile partecipava agli appalti pubblici per il clan D’Alessandro e indicava gli imprenditori a cui chiedere il pizzo. Poi i soldi incassati dovevano fruttare e quindi erano reinvestiti dell’usura. Secondo l’Antimafia Paturzo era votato a soddisfare gli interessi del clan attraverso una serie di servigi quali partecipazioni ad appalti pubblici, informazioni su aggiudicazioni di pubblici incanti, segnalazioni di imprenditori da avvicinare per l’imposizione del racket. I ricavi delle estorsioni venivano reinvestiti nel giro dell’usura che moltiplicava le rendite.