Il ritorno a Castellammare di Vincenzo D’Alessandro ha evitato scissioni e allontanato i “colonnelli” dal vertice della cosca. A ricostruire le gerarchie del clan scanzanese, egemone nella città stabiese, sono state le rivelazioni rese ai magistrati dell’Antimafia da parte del collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano. Una struttura piramidale gestisce così la cosca più forte dell’area stabiese. A capo ci sarebbe (secondo il pentito) Vincenzo D’Alessandro, ritornato pochi mesi fa nella sua Castellammare, in regime di sorveglianza speciale, dopo una detenzione di 10 anni. Subito sotto D’Alessandro, ci sarebbe la triade composta da Antonio Rossetti (alias o’guappo), Giovanni D’Alessandro (meglio conosciuto come Giovannone, recentemente assolto dall’accusa di traffico di droga) e Sergio Mosca (o’vaccaro).



Secondo il pentito ognuno avrebbe dei compiti specifici: Rossetti, ad esempio, si occuperebbe di estorsioni, assicurazioni e affare ambulanze; Giovanni D’Alessandro di estorsioni, truffe, omicidi e altri affari criminali; a Mosca spetterebbe invece il rapporto con la politica, l’usura e altri affari importanti. Subito sotto questa triade, un ruolo importante nelle gerarchie del clan sarebbe rivestito anche da Ettore Spagnuolo (alias capastorta), con compiti legati alle estorsioni e alle truffe. “A Castellammare non si muove una foglia se non lo decide Vincenzo D’Alessandro”, si legge nei verbali resi da Rapicano alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.



Il collaboratore di giustizia cita anche altri affiliati alla cosca di Scanzano, ma molti nomi sono coperti da omissis. Il ruolo di vertice di Mosca è emerso anche dall’ultima inchiesta Domino Bis, che ha portato all’arresto dello stesso colonnello dei D’Alessandro, insieme ad altre 15 persone. Si sentiva il “padrone di casa”. Sergio Mosca sceglieva il parcheggio delle Nuove Terme per riunioni di camorra, trattative sul traffico di stupefacenti e appuntamenti legati alla vita privata. Il boss, a capo del clan D’Alessandro dal 2017 al 2020, sfidava le istituzioni e i controlli. Minacce ad un vigilante, di una società privata con il compito della sicurezza, che aveva provato a mandare via il capo del clan e i suoi uomini. “Io sono il padrone delle Terme. Qui è tutta roba mia. C’è un solo padrone. Questa è casa nostra” aveva risposto al vigilante che chiedeva spiegazioni sulla sua continua presenza nello stabilimento, chiuso dai giorni del fallimento.



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