“L’immunità di gregge non si raggiungerà mai”. Questa la convinzione del direttore del dipartimento di Microbiologia dell’Università di Padova, Andrea Crisanti.

Impossibile secondo il virologo poter sperare che si possa raggiungere la tanto famigerata ed acclamata immunità di gregge che permetterebbe un graduale ritorno alla “normalità” con la sconfitta definitiva del Sars-CoV-2.

Purtroppo quella che si sta rivelando una lunga ed estenuante pandemia, è destinata a far parte ancora delle nostra vita e nella prossima stagione invernale saremo ancora chiamati ad affrontare nuove sfide per tentare di metterla all’angolo.

Il perché è presto spiegato ed è strettamente legato alla variante Delta che è divenuta oramai la mutazione predominante per la sua veloce trasmissibilità e la capacità di infettare anche coloro che si sono sottoposti al ciclo vaccinale.

A differenza del virus originale, questa mutazione, ha spiegato Crisanti, “ha un R0 di 6”, il che vuol dire che il numero medio di persone che un infetto può contagiare è compreso tra 6 e 7, mentre quello del ceppo originale si aggirava tra i 2 e 3.


Quindi ogni soggetto affetto da variante Delta è in grado di contagiare 6 persone che a loro volta possono contagiare, ciascuna, altre 6 persone.

Al terzo passaggio mentre il Covid-19 originale lasciava dietro di sé 27 contagiati, con la variante Delta il numero dei casi schizza a 216.

Pertanto, per cercare di contenere questo maledetto virus, che non ha nessuna intenzione di allentare la presa e di fronte al quale, forse troppo fiduciosi nel vaccino, molti stanno abbassando la guardia dimentichi dei morti e della sofferenza che ci siamo lasciati alle spalle, dovremo metter in campo nuove strategie.

Il direttore ha affermato, infatti, che ci sarà ancora da tener banco su diversi fronti che “riguardano la percentuale dei vaccinati, la durata della vaccinazione e la presenza di varianti resistenti al vaccino. Tutto dipenderà – ha aggiunto Crisanti – dalle misure che saremo in grado di mettere in campo per fronteggiare la situazione. Alcune possono ancora essere attuate, altre un po’ meno”.


Occorre innanzitutto perseverare ed incrementare, laddove sia possibile la campagna vaccinale ed adoperarsi con ogni mezzo possibile a sensibilizzare tutti coloro che sembrano essere tuttora restii a sottoporsi alla somministrazione del vaccino.

“Più persone si vaccinano, meglio è”, ha spiegato il virologo, aggiungendo: “Per quanto riguarda i ragazzi, il rapporto costi-benefici è molto limitato, ma ciononostante fanno bene a vaccinarsi per dare un contributo a livello sociale e compiere un atto di generosità nei confronti della collettività”.

“Per quanto riguarda la durata della vaccinazione – ha precisato ancora – abbiamo a disposizione lo studio di Israele che dice che la protezione dura 8-9 mesi. Bisognerà quindi pensare a come proteggere tutte le persone vulnerabili e quelle che si sono vaccinate a gennaio 2021”.

Sull’ipotesi di una terza dose, però, Crisanti frena: “E’ assolutamente un’opzione, ma ancora non mi pronuncio in merito perché voglio aspettare i risultati di Israele. Ci sono degli enzimi interessanti come le proteasi – ha spiegato – che sono già stati utilizzati come bersaglio per farmaci molto efficaci, come nel caso dell’epatite C e dell’Hiv. Questi enzimi si sono dimostrati bersagli ideali, quindi sono moderatamente ottimista sull’efficacia di una cura”.

A tutto ciò va aggiunto che il vaccino di per sé rappresenta una protezione contro le forme più gravi del virus e per di più, attualmente, non esiste alcuna garanzia che sia in grado di frenare le nuove varianti.

C’è poi il ragionevole dubbio che potrebbero fare la loro comparsa anche nuove e più temibili mutazioni di fronte alle quale non sappiamo ancora quale possa essere l’efficacia protettiva dei sieri in uso.

Bianca Di Massa



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