Siamo giunti al decimo e ultimo appuntamento di questa rubrica che si è occupata dell’arte moderna e contemporanea.
Ebbene, la dedichiamo ad un movimento artistico estemporaneo frutto di una scelta ideologica ben precisa e forse più aderente ad una creatività pura e incontaminata.
Stiamo parlando del movimento Madí, in sintesi “materialismo dialettico “.
Materialismo, perché dà vita ad una forma dove l’ oggetto-opera non intende esprimere, rappresentare, significare.
Dialettico, perché descrive in termini esperienziali lo sviluppo storico del pensiero, ricollegandosi alla triade hegeliana della tesi, dell’ antitesi e della sintesi.
Per la verità alcuni storici dell’arte lo definiscono come sopra detto, ossia abbreviazione di Materialismo Dialettico;
ma altri come abbreviazione di Materia Dimensione.
Difatti, in una intervista del 1958 Carmelo Arden Quin, uno dei fondatori o il fondatore, lo definì “Movimiento Abstraccion Dimension Invencion”.
Quest’Arte, per la sua inventiva e originalitá, fu comunque una vera e propria rivoluzione nella creazione artistica.
L’artista Madí è tutt’oggi una sorta di “costruttore”;
egli manipola e modifica i materiali, diventando allo stesso tempo non solo pittore e scultore, ma anche architetto, falegname, operaio.
Il movimento Madí si é distinto per la sua poligonalitá, per il ludico, per il double face, per il piano di rotazione – curvo, concavo, convesso ecc. – per l’uso di materiali nuovi, anche nella scultura (plexiglas, fili di nylon, calamite, acqua ecc.).
Sin dalle sue origini, questo metodo espressivo è andato oltre il realismo;
una delle dimensioni nelle quali l’artista può esercitare la sua libertà è proprio il grado di astrazione cui ricorre per rendere la sua idea.
Avendo completamente rinunciato all’imitazione e alla verosimiglianza, i Madisti lavorano su forme non mimetiche e sono svincolati dalla sottomissione alla molteplicità della realtà.
L’artista Madí cerca di cogliere l’essenza e la purezza attraverso motivi che vanno oltre la geometria, inventando forme nuove.
Ciò che distingue il lavoro degli artisti Madi in genere rispetto a quello di altri artisti, figurativi o astrattisti, è il venir meno del concetto di riproduzione o interpretazione delle cose del mondo, in quanto nulla, di ciò che ci circonda, è in questi lavori, neppur lontanamente riconoscibile.
L’opera MADÌ, però, non è solo un gioco formalistico!
Essa esprime se stessa e null’altro, ma imprigiona il senso della vita attraverso la sua tridimensionalità, il colore e la luce.
Solo chi guarda percepirà attraverso i propri sensi le emozioni suggeritegli dall’opera e ognuno le avvertirà in maniera differente.
Nelle opere MADÌ il gioco delle superfici sollecita il tatto, quello delle forme abbandona il fruitore alla sua percezione.
Le fluorescenze, le ombre, le trasparenze inoltre provocano curiosità, stimolando la fantasia e la sfera giocosa.
“Si tratta di strutture aperte che aleggiano evocando energie che si proiettano lontano dal senso di stabilità rassicurante, per sprigionare magnetismi tra spazi circoscritti e forze cosmiche, traiettorie che captano mondi sconosciuti, vibrazioni collegate a luoghi ignoti, dimensioni imponderabili del visibile”.
“Alla base della filosofia del Movimento Madi vi è l’assunto che l’opera d’arte debba essere un “oggetto” indipendente, con una valenza in sé, che rappresenti il puro “prodotto” dell’intelletto e delle capacità immaginative dell’artista. Un oggetto che non abbia alcuna utilità funzionale, come potrebbe essere un’opera di design, ma porti invece una sua utilità intellettualistica e, che come ogni opera d’arte degna di questo nome, possa elevare spiritualmente il fruitore”.
Queste solo alcune delle tante osservazioni di critici e storici dell’arte che si sono occupati del movimento artistico denominato MADÌ.
Chiudere questa rubrica con questo movimento artistico era un atto dovuto giacché non è né moderno nè contemporaneo a mio avviso, ma intellettualisticamente estemporaneo.
Un movimento affascinante perché purezza e creatività dell’artista sono libere di esprimersi guardando oltre il confine del reale, traghettando il singolo fruitore verso una riflessione che lo svincola dal razionale e dal conosciuto per farlo approdare in un luogo tutto suo che solo la sua mente e le sue emozioni vivono e costruiscono.
Perché come amava dire l’artista Gastone Biggi:
“Alfabetizzare l’uomo all’arte è un impegno civile”.