Femminicidio di Rosa Alfieri: oggi l’udienza di convalida dell’arresto di D’Ambra

Da “mostro” della porta accanto alla misera via di fuga da una condanna, che il Paese tutto chiede, esemplare: le voci nella testa. A breve anche esame autoptico sulla salma della giovane vittima

Da lunedì scorso tutta la comunità di Grumo Nevano e di tutt’Italia sta piangendo la tremenda, inspiegabile e imperdonabile morte di Rosa Alfieri, la 24enne strangolata dal reo confesso Elpidio D’Ambra. E insieme ai familiari, al fidanzato e agli amici, anche Cristina Salas, mamma dell’assassino, da lunedì piange e soffre per la giovane Rosa: “Quello non è più mio figlio. Io sto con il dolore della famiglia della povera Rosa”. Con lei la sorella di D’Ambra che in più occasioni ha detto: “Quello non è più mio fratello. Noi non siamo così. Non meritiamo nessun marchio d’infamia. Ha fatto guai e provocato dolore in Spagna ora anche qui. Basta. Quello non è più niente per me”.

Intanto questa mattina alle 9:30, davanti al gip del Tribunale di Napoli Nord (quinta sezione), è stata fissata l’udienza di convalida del fermo emesso dal sostituto procuratore Patrizia Dongiacomo nei confronti del 31enne. D’Ambra, difeso dall’avvocato Dario Maisto, è stato fermato nel pomeriggio dello scorso 2 febbraio dalla Polizia di Stato nell’ospedale San Paolo di Fuorigrotta a Napoli.

Dal momento dell’arresto, quello che è stato definito il “mostro” della porta accanto, ha ammesso di averla strangolata, ma non di averla violentata. Né picchiata. Poi ha cominciato a cercare quella che in tanti pensano sia solo una misera via di fuga da una condanna, che il Paese tutto chiede, esemplare: le voci nella testa, quelle voci che gli continuavano a dire “uccidi… uccidi”. E per questo motivo il suo avvocato sembra intenzionato a chiedere una perizia psichiatrica per il suo cliente.

La colpa della morte di Rosa sarebbe proprio di queste non meglio precisate voci che senza sosta gli erano entrate nella testa fino a portarlo ad attirare la povera ragazza nel monolocale al piano terra con una scusa banale, ma fatale per la 24enne.

Intanto però, quelle stesse voci che gli martellavano nella testa non gli hanno impedito, nemmeno un’ora dopo aver strangolato Rosa Alfieri, di raggiungere Napoli, dopo aver preso un treno a Frattamaggiore, come confermato dalle immagini di videosorveglianza delle stazioni ha attraversato. E non gli hanno nemmeno impedito di entrare in un negozio di abbigliamento di Corso Garibaldi per fare dettagliati acquisti. Avrebbe scelto con cura un paio di jeans all’ultimo grido e dei calzini lunghi di marca. E visto che c’era, e soprattutto senza quelle “maledette voci”, forse ora, spera, provvidenziali, ha scelto anche delle scarpe in tono e un giubbino come quelli tattici mimetici utilizzati dai militari. Dopo gli acquisti si è diretto nelle piazze di spaccio del Rione Traiano, per acquistare droga, probabilmente tagliata male, che gli avrebbe causato un malore. A questo punto temendo un’overdose, ha preso un taxi e si è fatto portare all’ospedale San Paolo, dove è stato riconosciuto dagli agenti che lo hanno fermato. La giornata finiva così in una cella del carcere di Poggioreale.

I Carabinieri hanno tracciato attraverso le telecamere di videosorveglianza della stazione di Frattamaggiore, quelle di Napoli Centrale e quelle della metropolitana, tutti gli spostamenti del ricercato, fino alla sua cattura.

Il consumatore abituale di cocaina Elpidio D’Ambra ne avrebbe fatte altre di cose strane, di cose che agli investigatori non sembrano dettate dalle ormai tristemente famose “voci”.

Dopo aver soffocato Rosa, ha chiesto al suo amico Giovanni, colui che poi ha aperto l’uscio permettendo ai familiari di trovare Rosa senza vita nel bagno. Con questo personaggio dai contorni non ancora ben definiti, l’omicida sembra stesse preparando una piazza di spaccio. A lui D’Ambra avrebbe chiesto di andare a casa e recuperare la cocaina che aveva dimenticato, dandogli le chiavi. Peccato che quella sera si è dimenticato di dirgli che sul pavimento del bagno c’era un cadavere con uno straccio in bocca e una sciarpa stretta intorno al collo.

D’Ambra insiste di non aver violentato ne picchiato la sua vittima, ma nel suo miniappartamento una sponda del letto, spaccata nel tentativo di bloccare la reazione di Rosa, fanno pensare proprio ad un pestaggio i cui segni erano evidenti sul volto della ragazza.

Gli inquirenti intendono verificare anche le modalità con le quali il l’assassino ha preso in affitto l’appartamento della terribile tragedia. Ed in effetti il monolocale non è di proprietà del papà di Rosa e nemmeno degli altri familiari stretti, come si era detto in un primo momento.

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