Vediamo un po’, da dove iniziare? Magari si potrebbe decidere di pubblicare una fotografia di cui non conosciamo la provenienza, lo scatto tutto sommato ci serve, ne abbiamo bisogno per fare il nostro articolo, ci sarebbe l’opportunità di lanciare una prima pagina che si ricordi negli anni a venire. Così iniziamo a scegliere e quindi a decidere, scartando eventualmente la foto che non fa al caso nostro.
Ma potremmo anche seguire un’altra strada, quindi sapere (essere edotti) perfettamente da dove arrivi la foto di cui necessitiamo, pertanto infine potremmo utilizzarla fingendo di non avere alcuna conoscenza di dove sia stata scattata, del perché sia stata raccolta, peggio ancora della data e del luogo reale di provenienza.
Diciamo che ci sarebbe anche un’altra opzione (veramente anche molteplici altre) cioè quella per cui non si ha minimamente idea di cosa pubblicare e quindi si prende una foto a caso perché garba la scena, perché si addice al contenuto del testo, perché i colori sono vividi, perché – nel caso di conflitti bellici – si tratta di frame particolarmente cruenti, etc., quindi la si introduce all’interno di un contesto specifico e la si lancia come copertina di una notizia.
Ancora, un’altra opzione sarebbe quella di accodarsi a chi ha già pubblicato e quindi copia incollare non solo le foto per la copertina, ma anche parti del testo.
Però – il “però” qui ha il suo peso specifico – in tempo di guerra ci si dovrebbe perlomeno attenere ai fatti, quindi attenersi ai fatti e poi attenersi ancora ai fatti, poi mentre ci si attiene sempre ai fatti, mettere uno “stop” a tutto ciò che è di più, cioè narrazioni pilotate, propaganda, ideologia, manipolazione, dati non verificati, etc.
Tralasciando ora la narrazione e senza entrare nelle motivazioni del conflitto tra Russia ed Ucraina, quello va lasciato agli esperti in materia, bisogna chiedersi, se vogliamo attenerci ai fatti, per quale motivo La Stampa, il 16 marzo 2022, pubblicava una foto che è stata scattata e firmata da un inviato della testata giornalistica russa URA.RU, durante la strage del 14 marzo 2022 a Donetsk, e scriveva in prima pagina “La Carneficina” attribuendo lo scatto alla città di Kiev, o meglio sotto lo scatto introduceva due articoli: “Così Kiev affronta l’assalto finale” e “I traumi dei bimbi in fuga da Leopoli”.
Quello che si sta descrivendo avviene mentre in Italia l’opinione pubblica si infiamma su posizioni divergenti e, mettendo da parte la fede calcistica che troppe volte scatena opposizioni furenti, ci si ritrova ad ascoltare e a vedere nuovi “tifosi” che appoggiano o negano l’una o l’altra posizione dominante. Ma una posizione non può essere dominante e subalterna allo stesso tempo? Chi lo dice che ci dev’essere un solo tema ed un solo circuito narrante? Chi lo stabilisce? Se in Russia è preponderante una narrazione e qui in Italia, ma anche in altri Paesi europei (non tutti), ne vediamo un’altra ecco che i motivi conduttori si capovolgono e si ribaltano a seconda di chi li promuove, diffonde e propina. Qual è dunque quello reale? Quale sarebbe il leitmotiv che conduce il cittadino? Nel frattempo parte del popolo si divide, seguendo i mattatori che “spostano” consensi, indirizzandoli di volta in volta in base a dove deve andare l’opinione pubblica generale.
Tra filorussi e filo-ucraini ci si confonde e ci si dà battaglia verbale su quale debba essere l’ideologia dominante, quindi sul perché si scende in campo per una “operazione militare speciale” (così definita dalla Federazione Russa) oppure sul perché ci si difende, o si è costretti a difendersi, da un’invasione bellica, quindi dalla guerra (posizione Ucraina e della maggior parte degli Stati atlantisti).
Poi si dibatte tra filo-atlantisti/filo-NATO e filo-Putin/filorussi, quindi si passa in rassegna l’estensione-allargamento della NATO ad est da un lato, mentre dall’altro si parla di un organismo che vede la sua nascita e la sua operatività esclusivamente per la difesa degli Stati membri, questo – va detto e andrebbe domandato – anche se si svolgono esercitazioni su uno Stato, quello Ucraino, che dovrebbe restare neutrale proprio per via della sua posizione geografica e geopolitica.
Però, qui, restando sempre nei fatti storici-politici, sarebbe doveroso fermarsi un attimo, in quanto se vale ancora il principio dello “stato cuscinetto” bisognerebbe chiedersi: perché non lo si applica in Ucraina?
Giusto ricordare che gli stati cosiddetti “cuscinetto” sono quei Paesi che si trovano, dal punto di vista geografico tra due potenze, diciamo così, rivali, in questo caso parliamo di grandi potenze nucleari, appunto la Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America (più la NATO). Pertanto la presenza e la posizione neutrale degli stati cuscinetto serve a scongiurare proprio possibili conflitti. Tutto ciò, se vale ancora questo principio di bilanciamento dei poteri, perché se poi non dovesse avere alcun valore, allora dovremmo rivedere le relazioni ed i trattati internazionali, la geopolitica e le materie che attengono la politica e la diplomazia estera.
Riguardo le potenze che necessitano di stati cuscinetto, anche per il mantenimento della pace, va detto che – si cita qui direttamente le fonti dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord – “la NATO si impegna a risolvere pacificamente le controversie. In caso di fallimento degli sforzi diplomatici, ha il potere militare di intraprendere operazioni di gestione delle crisi. Tali operazioni devono essere condotte in base alla clausola di difesa collettiva presente nel trattato fondativo della NATO – Articolo 5 del Trattato di Washington o dietro mandato delle Nazioni Unite, da soli o in collaborazione con altre organizzazioni internazionali”, ma che comunque – come scrive nel suo focus del settembre 2020 l’ISPI (Istituto per gli Studi si Politica Internazionale) – la Nato è stata il foro di consultazione privilegiato fra gli Stati Uniti e gli alleati europei dal 1949 al 1991, inoltre che poi con la caduta del muro di Berlino, “i compiti dell’Alleanza” sono aumentati, “sia a causa dell’emergere di nuove minacce (militari e non), sia causa della necessità di adattare la sua mission all’evoluzione dello scenario internazionale“.
L’ISPI poi fa una carrellata degli interventi NATO degli ultimi decenni fino a descriverne l’allargamento ad est ai Paesi dell’Europa centro-orientale, fino ad arrivare al suo trentesimo membro, la Macedonia del Nord (2020). L’Istituto continua a ricordare ai lettori quindi che proprio lo spostamento ad est dei confini della NATO (anche il caso delle tre repubbliche baltiche, che sono penetrate all’interno del territorio ex URSS) è stato anch’esso “fonte di problemi”, i quali hanno portato alla luce “divergenze che in precedenza tendevano a rimanere sottotraccia”.
“Il processo di allargamento – scrive ancora l’ISPI – è considerato da Mosca un fattore di destabilizzazione del teatro europeo e indicato come uno dei fattori che – unito al dispiegamento di forze NATO e USA in vari Paesi ‘di nuova ammissione’ – ha determinato l’aumento della tensione nella regione registrato in seguito all’esplodere della crisi ucraina nel 2014″.
Ma dopo questa parentesi, andiamo avanti guardando alla comunicazione, abbiamo quindi da un lato i pacifisti che vogliono inviare armi al confine tra Polonia e lo Stato occupato dai russi (con tutte le motivazioni del caso) e che magari chiedono la no-fly zone dell’Ucraina, dall’altro i pacifisti che non vogliono inviare armi e chiedono esclusivamente che la diplomazia riprenda al 100%, questi ultimi ricordano ai primi che invocando la zona d’interdizione al volo si dichiara, in pratica, la volontà di una terza guerra mondiale.
Su quest’ultimo punto però è doveroso riportare il parere di Alegi, fornito all’Adkronos, in seguito alla richiesta della vice presidente ucraina Iryna Vereshchuk di coprire con la no-fly zone almeno le centrali nucleari.
Il prof. Gregory Alegi, che opera all’interno del dipartimento di Scienze politiche della Luiss, anche condirettore del mensile Aeronautica, fa capire chiaramente che la no-fly zone, anche se circoscritta alle centrali nucleari, sarebbe una dichiarazione di guerra alle forze aeree russe. Dichiara Alegi, dunque: “Tecnicamente una no-fly zone circoscritta non è molto diversa da una generale. Il problema è sempre assicurare la protezione di una fetta di cielo con un sistema di difesa aerea, radar, missili, caccia che devono volare e che per proteggere ad esempio Chernobyl devono comunque stare dentro l’Ucraina. Il rischio che una no fly zone possa coinvolgere in guerra la Nato è collegato non alle dimensioni dello spazio di interdizione ma alla sua esistenza. Tecnicamente non fa moltissima differenza l’estensione. I radar hanno un raggio d’azione intorno a cui devono collocarsi i caccia. Non cambia nulla sotto il profilo diplomatico e legale e molto poco sotto quello del rischio”.
Facendo ora nuovamente un passo indietro, tornando dunque alle notizie che riceviamo tutti i giorni, potremmo, anzi dovremmo, anche chiederci, per quale motivo, il Tg2, il 24 febbraio 2022, diffondeva immagini del bombardamento russo in Ucraina mostrando fotogrammi del videogame War Thunder (caso più eclatante tra i tanti osservati in queste settimane).
Ma dobbiamo anche chiederci perché il Tg5 il 15 marzo 2022 ha mandato in onda una sequenza dove si parla di bombardamenti su Kiev, ma si mostra il pezzo di missile caduto sulla città di Donetsk.
Da notare che l’immagine è ripresa dalla sequenza del video dell’altra agenzia di stampa russa RIA Novosti, presente sul luogo in quei momenti. Il video della agenzia di stampa russa è questo:
Nello specifico il Tg5 titola “Bombe sul cuore di Kiev” e mostra le immagini del missile balistico lanciato sul centro di Donetsk, come possiamo riscontrare nel video:
Mentre continuiamo a chiederci dunque il perché di queste attribuzioni improprie è doveroso descrivere il fatto di cronaca avvenuto il 14 marzo nella Repubblica Popolare di Donetsk appunto. Va precisato che i missili cadono sulle Repubbliche separatiste di Donetsk e di Lugansk, sparati dall’esercito ucraino, come cadono sugli altri luoghi del Paese oggetto di contesa, lanciati da parte dell’esercito della Federazione Russa, e che pertanto non si vuole qui prendere parte alla inutile diatriba da bega condominiale che annaffia i talk televisivi e che affligge l’opinione pubblica da oltre due settimane. Inoltre quando incalza una guerra, un conflitto, una “operazione speciale militare” – o come la si voglia chiamare da entrambe le parti – a pagarne il prezzo sono le persone, uomini, donne, bambini ed anziani, costretti a scappare e a ripararsi, per chi ci riesce. Cittadini costretti a diventare migranti a tempo indefinito. Poi purtroppo ci sono i morti, sia civili che militari, i quali lasceranno un vuoto incolmabile alle loro famiglie, destinate a ricordarli per sempre, ma a non poterli rivedere mai più fisicamente.
Va ancora detto che entrambi gli schieramenti si sono accusati a vicenda sugli accadimenti nel centro della capitale de facto della Repubblica separatista, anche La Repubblica titola infatti “Civili uccisi a Donetsk, scambio di accuse tra Russia e Ucraina”, facendo presente che Vladimir Putin parla di “azione criminale”, mentre l’Ucraina replica denunciando una “operazione false flag”.
Quindi si riportano ora i fatti di cronaca legati esclusivamente allo scatto che abbiamo utilizzato per la copertina e che La Stampa ha utilizzato il 16 marzo per la sua prima pagina.
Durante l’atterraggio del missile balistico “Tochka U” sono morte almeno 20 persone, altrettanti sono i feriti gravi. I cittadini sono pensionati che si trovavano in attesa di prelevare i loro soldi al bancomat, oltre a persone che erano a bordo delle autovetture e degli autobus.
Questo pezzo di missile ucraino, abbattutosi nel centro di Donetsk, è piombato su un’auto e su un autobus in via Universitetskaya. All’impatto due cittadini sono rimasti uccisi nell’auto, molti altri civili sono stati uccisi nell’autobus, altri ancora in strada.
Va detto che è la prima volta dal 2014 che il centro della capitale del DPR subisce un bombardamento.
I soccorritori ed i Vigili del fuoco hanno lavorato immediatamente sul luogo della caduta dei frammenti del razzo.
Denis Vladimirovič Pushilin, leader della Repubblica separatista era presente sul luogo, ha affermato: “Sebbene il missile Tochka-U sia stato abbattuto, i suoi frammenti hanno causato molti danni e vittime civili, che è la cosa peggiore. Le persone erano in fila davanti a un bancomat, altri a una fermata del trasporto pubblico. Tra i morti ci sono bambini”.
(Sono state documentate, dai cittadini presenti in loco, anche le immagini video più cruente che mostrano sia i deceduti che i danneggiati, ma non verranno qui riportate)
Il Ministero degli Esteri della Russia, il 14 marzo sul bombardamento di Donetsk scrive: “Il 14 marzo, circa alle 11:30, la parte ucraina ha lanciato un missile tattico “Tochka-U” (con la testata a submunizioni proibite dalla legge internazionale) contro un quartiere residenziale di Donetsk. Il missile è stato abbattuto dai sistemi della difesa antiaerea evitando così conseguenze catastrofiche. Nello stesso tempo, perfino la caduta delle sue schegge sulla città ha causato gravissime perdite tra la popolazione civile – 20 morti e 28 feriti gravi inclusi bambini, donne e anziani. A nome del governo e del Popolo della Federazione Russa il Ministero degli Esteri esprime le più sentite condoglianze ai parenti delle vittime, al governo della Repubblica Popolare di Donetsk e augura una pronta guarigione ai feriti. Siamo convinti che questo crimine contro l’umanità non rimarrà impunito”.
Riguardo la prima pagina de La Stampa l’Ambasciata russa in Italia, il 15 marzo scrive: “La Stampa di oggi scrive dei “bombardamenti russi” senza menzionare però che la foto nella prima pagina è scattata il 14 marzo a Donetsk dopo che gli ucraini hanno bombardato una zona residenziale della città con un missile tattico (Tochka-U) con la testata a submunizioni. Almeno 20 civili hanno perso la vita. Ne abbiamo scritto, La Stampa invece – no”.
Mentre la URA.RU descrive così il bilancio dell’incidente: “Secondo gli ultimi dati, a seguito dell’attacco terroristico, 35 persone sono state consegnate alle strutture mediche di Donetsk. Tre persone hanno riportato ferite lievi, le altre sono in gravi condizioni e due sono morte in ospedale. A causa della tragedia, 20 persone sono morte. Il capo della Repubblica popolare di Donetsk ha dichiarato il 15 marzo un giorno di lutto per i morti”.
Infine la fotografia di copertina dell’esplosione nel centro di Donetsk, che anche La Stampa ha utilizzato, porta la firma di
Il giorno dopo la tragedia nel centro di Donetsk sono stati deposti fiori e candele, insieme ad un foglio bianco dove viene scritto: “Perché nessuno ascolta Donetsk?”.
Andrea Ippolito