E’ stata scarcerata Teresa Martone, ritenuta dagli inquirenti per anni la vera reggente del clan camorristico dei D’Alessandro di Castellammare di Stabia. La moglie dell’ex e defunto boss Michele D’Alessandro dovrà scontare 4 anni di divieto di dimora in Campania, questa la decisione presa dai giudici della Corte d’Appello di Napoli (presidente Antonia Gallo) nell’ambito del processo Olimpo con rito abbreviato, che vede alla sbarra il gotha del clan D’Alessandro e delle organizzazioni malavitose dei monti Lattari.



Castellammare: la sentenza della Corte d’Appello

Sempre la stessa sentenza ha rideterminato la pena nei confronti di Raffaele Afeltra (capo dell’omomino clan attivo a Pimonte), condanna che scende da 5 anni e 4 mesi a 4 anni e 6 mesi. Per lo stesso Afeltra è stata revocata l’interdizione legale. Riduzione di pena anche per Giovanni Gentile, a 4 anni e 6 mesi. Anche per lui è scattata la revoca dell’interdizione legale. Scende a 5 anni invece la condanna per Vincenzo Di Vuolo, a fronte dei 6 in primo grado. Confermate invece le pene per Francesco Afeltra (4 anni e 6 mesi), Liberato Paturzo (5 anni e 6 mesi), Giovanni Cesarano (5 anni), Nicola Esposito (alias o’mostro, ex reggente del clan Cesarano, che deve scontare 5 anni e 10 mesi) e Aniello Falanga (6 anni e 4 mesi).




Capi e gregari di quattro cosche

Alla sbarra dunque c’erano capi e gregari di quattro cosche dell’area stabiese: i D’Alessandro, i Cesarano, gli Afeltra e i Di Martino. Tutti sono accusati a vario titolo di estorsione ed associazione di stampo camorristico e sono residenti tra Castellammare, Pompei, Gragnano, Pimonte e Agerola. Secondo la tesi accusatoria dell’Antimafia, i clan stabiesi e dei monti Lattari avrebbero dato vita ad una sorta di “santa alleanza” per spartirsi le attività illecite sul territorio. Secondo gli inquirenti il pizzo era gestito dai clan Cesarano, D’Alessandro e Afeltra – Di Martino secondo una spartizione territoriale e accordi che prevedono confini territoriali ben precisi, con Castellammare divisa a metà “per competenza”, e il racket ad Agerola e Pimonte gestito da un’altra cosca.

Il processo madre

Il processo madre vede invece come principale indagato l’imprenditore Adolfo Greco, condannato in primo grado ad 8 anni insieme ad altre cinque persone con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso, per aver imposto l’assunzione di un parente del boss Paolo Carolei dei D’Alessandro in un supermercato e aver “trattato il pizzo tra gli Afeltra e un imprenditore suo amico di Agerola. Nell’altro processo, insieme a Greco sono imputati il ras Luigi Di Martino “’o profeta”, ritenuto l’ultimo reggente di spessore del clan Cesarano e ora detenuto al regime del 41bis perché accusato di aver organizzato un omicidio dal carcere. Con lui, ci sono Attilio Di Somma (accusato di una bomba al supermercato Sole 365 di Castellammare), Raffaele e Michele Carolei (fratelli di Paolo, ex reggente del clan D’Alessandro), e Umberto Cuomo, macellaio di Agerola, amico di Greco e uomo vicino agli Afeltra.



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