Da pochi giorni ha finito di espiare la sua pena, oltre 13 anni, ed è tornata in libertà “Donna Gemma”. Al secolo Gemma Donnarumma, 68 anni, moglie del boss Valentino Gionta, capo dell’omonimo clan, al 41bis dal 2007. Le manette erano scattate ai suoi polsi nel corso dello storico blitz contro il clan Gionta denominato “Alta marea” il 4 novembre 2008. Già nel 2006 era stata condannata a dieci anni di carcere, ma non aveva ancora iniziato a scontarli quando, a seguito dell’arresto e della conclusione delle indagini, venne condannata a 12 anni, cumulando in un unico calcolo con altri residui di pena di inchieste successive.
Donna Gemma Donnarumma ha sempre avuto un ruolo di prima importanza nel clan. Nei suoi confronti, l’accusa più grave fu proprio quella di associazione mafiosa. Secondo la Dda, la “first lady” di fatto faceva le veci del marito all’interno del clan. Insieme al marito, dal quale ha avuto tre figli, Aldo, Teresa e Pasquale, tutti detenuti, i due maschi all’ergastolo, mentre Teresa è tornata in cella lo scorso 30 novembre, ha gestito il clan dall’impronta familiare. La storia del sodalizio criminale oplontino è iniziata alla fine degli anni Settanta con i “motoscafi blu” gestendo il contrabbando delle sigarette, ma raggiunse il suo massimo potere quando ad affermarsi nel vesuviano arrivò Raffaele Cutolo con la sua Nuova Camorra Organizzata.
Potere punitivo e politica del terrore: il clan Gionta e Torre Annunziata
I Gionta facevano parte di quella che i giornalisti chiamarono Nuova Famiglia, insieme ai D’Alessandro, i Giuliano, i Moccia e al boss Carmine Alfieri. Quella “guerra” contro Cutolo, i Gionta, insieme al cartello criminale di cui facevano parte, la vinsero e Valentino divenne il “re” di Torre Annunziata.
Poi toccò proprio a “lady Valentino” ricoprire un ruolo fondamentale per far rispettare le volontà di suo marito recluso e soprattutto per la gestione delle attività illecite. Tutte le riunioni operative e non del clan si svolgevano nella sua abitazione, anche dopo l’arresto di suo figlio Pasquale Gionta.
Godeva di una considerazione pari a quella del marito dal carcere, anche quando suo fratello, Gabriele Donnarumma, decise di collaborare con gli inquirenti, diventando un pentito e aiutando l’Antimafia a svelare i retroscena dell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani.
Punto di riferimento in un territorio dove lo Stato ha sempre fatto fatica ad affermarsi, i Gionta avevano acquisito un enorme consenso sociale. Questa era, ed è, la chiave della camorra. Numerosi i cittadini che si recavano da lei, una vera e propria processione di questuanti. Cosa chiedevano? Aiuto, lavoro o addirittura di entrare nel “sistema”. In un’intercettazione si sente la voce di una mamma di Torre Annunziata, città bellissima, ma sempre abbandonata troppo a se stessa, affermare: «Mio figlio vi ammira, il suo sogno è stare con voi nel clan». I soldi il clan dei “valentini” ne faceva tantissimi. Stando alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia a Palazzo Fienga, roccaforte del clan dell’Annunziata, arrivavano a fiumi: «170mila euro al giorno» solo dallo spaccio di stupefacenti.
A donna Gemma arrivavano anche le “soffiate” delle forze dell’ordine corrotte.
La donna aveva, già da tempo, fatto richiesta di domiciliari, visto che le rimaneva poco da scontare e soprattutto a fronte delle sue precarie condizioni di salute. Problemi al cuore, che nel 2020, l’avevano costretta ad un intervento chirurgico, ma i magistrati confermarono la sua compatibilità col carcere. In quello di Lecce ha dunque scontato l’ultimo anno e mezzo di pena, poi il ritorno a Torre Annunziata. Ma il Palazzo Fienga dei Gionta, non esiste più, dopo la confisca, l’edificio attende il restyling che lo trasformerà in un simbolo di legalità.
E allora per lei l’omaggio dei “fedelissimi dei valentini” che le hanno fatto trovare una nuova, comoda casa nel “suo” rione, nel Quadrilatero delle Carceri, in via Castello. Un palazzo ristrutturato da poco e destinato ad ospitare tutti i componenti della “famiglia”.
E proprio a seguito della scarcerazione di donna Gemma è ritornato agli onori della cronaca quanto svelato nell’ultima inchiesta anticamorra che ha portato all’arresto, tra gli altri, proprio di Teresa Gionta e suo marito Giuseppe Carpentieri.
Durante un colloquio telefonico autorizzato proprio con la figlia, donna Gemma Donnarumma aveva riferito il contenuto di una lettera ricevuta dal marito. “Mi ha scritto «se torni ai domiciliari, ricordati che sei mia moglie»”. Un ordine velato, ma fin troppo chiaro, che tutti i valentini sarebbero già pronti ad eseguire e che per gli inquirenti sarebbe già stato eseguito.
Valentino Gionta: il super boss di Torre Annunziata al 41bis dal 2007
Il super boss, mai pentito, detenuto dal 2007 nel carcere di Novara al 41 bis. Nonostante la condanna e il fascicolo giudiziario che recita “fine pena mai” Valentino Gionta resterebbe il leader assoluto sotto il profilo criminale di Torre Annunziata. Un punto fermo questo che sarebbe emerso da alcune indiscrezioni provenienti da ambienti investigativi. Grande alleato dei Nuvoletta di Marano, Gionta è cresciuto alla corte di un altro padrino di camorra, Michele Zaza, zio dei potenti Mazzarella di San Giovanni a Teduccio e massimo esponente del contrabbando di sigarette a Napoli e in provincia. Condanne e tanti episodi hanno visto Gionta protagonista di guerre sanguinose con i clan rivali (in particolare con i Gallo) per il controllo degli affari illeciti sul territorio.
Il boss di Torre Annunziata è riuscito nel tempo a conquistare i vicoli della cittadina vesuviana entrando nella mente di una parte dei giovani che orbitano intorno al Santuario della Madonna della Neve, situato nel cuore storico del paese. Un padrino della camorra in grado di tener testa a capi storici del crimine organizzato del calibro di Antonio Bardellino, Carmine Alfieri, Mario Fabbrocino e Pasquale Galasso, rispondendo colpo su colpo ad agguati spesso di violenza inaudita, come la famosa strage del 1984 in cui persero la vita numerosi affiliati dei “valentini” su mandato di Bardellino e su esecuzione materiale degli uomini di Alfieri.
Torre Annunziata: il super boss Valentino Gionta uno dei depositari dei segreti di Totò Riina?
Persino la Nco di Raffaele Cutolo dovette segnare il passo a Torre Annunziata dinanzi alla leadership criminale di Valentino Gionta: gli anziani che l’hanno conosciuto di persona raccontano di come “Valentino” abbia consentito a tanti giovani torresi di campare con il contrabbando di sigarette o inserendoli nel settore ittico (attività ufficiale del boss torrese).
Solo i più violenti finivano nel sistema vero e proprio, ovvero nelle estorsioni e nel traffico di stupefacenti. Un paradosso che non ha precedenti: da un lato si indica Valentino Gionta come uno dei camorristi più spietati di sempre, dall’altro c’è chi rimpiange il modus operandi del ras. “Noi siamo i valentini, gli altri, tutto il blocco non sono nessuno”. Uno slogan che per ovvie ragioni abbiamo italianizzato, facilmente udibile tra una parte dei ragazzi del centro storico di Torre Annunziata, tra gli scugnizzi che pur non conoscendo direttamente il super boss crescono nei racconti quasi epici attribuiti da nonni e genitori allo stesso.
Una sub cultura a cui ad oggi le istituzioni hanno sempre risposto in modo insufficiente e lassista. Rispettati dai Cesarano, D’Alessandro, Matrone e alleati (tra gli altri clan del vesuviano) con i Birra di Ercolano, i Gionta sarebbero ancora ben ramificati in tutti gli strati della comunità torrese.
Della serie: dall’ergastolo in regime di 41 bis Valentino Gionta è ancora il “re” (criminalmente parlando) di Torre Annunziata.
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