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Castellammare, inchiesta “Cerbero”: così il clan D’Alessandro gestisce il racket

revolver racket castellammare

Le estorsioni nella città di Castellammare di Stabia? Le gestisce Vincenzo D’Alessandro, che dopo la scarcerazione è tornato al vertice della cosca del rione Scanzano. E’ l’ipotesi formulata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, alla luce dell’ultimo verbale reso dal pentito Pasquale Rapicano nell’ambito dell’inchiesta Cerbero, che ha portato all’emissione di 25 avvisi di garanzia per presunti capi e gregari del clan.



Castellammare, le rivelazioni dei collaboratori di giustizia

Secondo il collaboratore di giustizia sarebbe proprio Vincenzo (terzogenito dell’ex e defunto boss Michele D’Alessandro) ad aver ripreso le redini della cosca egemone a Castellammare dopo la scarcerazione, avvenuta nei mesi scorsi. “E’ lui che si occupa anche della suddivisione dei proventi tra fratelli e cugini”. Ha dichiarato Rapicano ai magistrati dell’Antimafia, ricostruendo i segreti e le gerarchie dei D’Alessandro. Ed è lo stesso collaboratore di giustizia ad attribuire a Vincenzo D’Alessandro il ruolo di comando e, quindi, il compito di raccogliere e gestire i soldi che l’organizzazione malavitosa guadagna illecitamente con il racket imposto ad imprenditori e commercianti.



Il ruolo del clan D’Alessandro

Un altro ruolo di primissimo piano, nello scacchiere criminali cittadino, sarebbe (sempre secondo la ricostruzione fatta ai magistrati da Rapicano) rivestito da Luigi D’Alessandro (alias Gigginiello, fratello di Michele e zio di Vincenzo). Con i loro racconti, i pentiti hanno contribuito a svelare il sistema di terrore e minacce con cui la camorra costringeva al silenzio le vittime. Il racket prevedeva anche una tassa alla cosca, dai 15 ai 30 mila euro all’anno, imposta agli imprenditori a seconda del volume di affari della loro attività, dalla sanità all’edilizia.

Estorsioni ai commercianti

Estorsioni che verrebbero imposte anche a commercianti, con una tassa maggiorata nelle festività di Natale, Pasqua e Ferragosto. Soldi che hanno finanziato per almeno 20 anni la cosca di Scanzano. Consentendogli di acquistare sempre più potere nello scacchiere criminale dell’area stabiese e anche oltre questo territorio. Un’ultima inchiesta della Dda ha inoltre descritto come una parte dei soldi dell’imprenditoria stabiese abbia alimentato l’organizzazione criminale con affari e investimenti, dalla penisola sorrentina al Nord Italia. Soldi che i D’Alessandro avrebbero investito in ristoranti, discoteche ed altre attività imprenditoriali. Alimentando una rete di gregari attiva (per quanto riguarda il centro – nord Italia) soprattutto in Emilia Romagna.



GLI APPROFONDIMENTI SULL’INCHIESTA

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