La terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non avvenne fra il 24 e 25 agosto, come finora si riteneva, ma fra il 24 e il 25 ottobre.
Lo indica la ricerca, a guida italiana, pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews, che ha ricostruito tutte le fasi dell’eruzione, che diffuse le ceneri fino alla Grecia. Lo studio, che fornisce gli strumenti per mitigare il rischio di eventi simili, è stato pubblicato e condotto da Ingv in collaborazione con Cnr-Igag,Università di Pisa, Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand e Heriot-Watt University di Edimburgo.
Finora l’eruzione era stata datata nell’agosto del 79 d.C, sulla base della lettera di Plinio il Giovane a Tacito, ma a distanza di quasi 2.000 anni di ricerche sul campo, analisi in laboratorio e rilettura delle fonti storiche hanno permesso di ricostruire tutte le fasi di quell’evento. “Lo spirito principale del lavoro è stato raccogliere dati provenienti da fonti diverse fra loro”, ha detto il vulcanologo Mauro Antonio Di Vito, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), che ha coordinato la ricerca.
La notizia non è proprio una novità assoluta. Nel suo libro “I tre giorni di Pompei; 23-25 ottobre 79 dC“, Alberto Angela aveva, già nel 2014, parlato della sua tesi che datava la drammatica eruzione del Vesuvio nell’autunno e non il 24 agosto.
E una conferma era già stata acquisita dal noto divulgatore, dopo la scritta ritrovata nella domus portata alla luce nel 2018 nella Regio V.
La scritta infatti porta la data del sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, corrispondente al 17 ottobre. L’anno non è indicato, ma trattandosi di un carboncino, pigmento fragile ed evanescente che non avrebbe potuto resistere a lungo nel tempo, appare logicamente probabile che si tratti dell’ottobre del 79 d.C., una settimana prima della grande catastrofe che sarebbe, secondo questa ipotesi, avvenuta il 24 ottobre.
Lo studio odierno risulta essere un’ulteriore conferma a quanto già dichiarato da Angela, come ricercatore e come scrittore. Già quattro anni fa lo stesso Alberto Angela, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria conferitagli dal Comune di Pompei, aveva dichiarato: “È il coronamento di un lavoro durato venticinque anni. Ma devo sottolineare che era una tesi condivisa anche da altri studiosi che si sono resi conto, come me, che c’erano molti elementi che non combaciavano con la data del 24 agosto”.
Il ricercatore e divulgatore più famoso d’Italia, insieme a suo padre Piero Angela, in varie interviste rilasciate ai tanti media che avevano seguito la sua nuova teoria e le tante prove riportate aveva dichiarato già all’uscita del libro: “Io sono un ricercatore prestato alla televisione. Quando scavi in un sito archeologico è come se lavorassi per la Scientifica. Non guardi solo l’osso che hai trovato, ma tutto quello che c’è intorno: il terreno, i vestiti, tracce biologiche, presenza di elementi che possano darti un’idea precisa della verità. Ad esempio, ho trovato bracieri ancora pieni. Strano che vi fossero in pieno agosto. Ma si può confutare sostenendo che magari erano stati solo preparati per l’autunno. E poi, un copricapo di pelliccia, una coperta di lana sul letto di un bambino, un piatto con castagne e datteri. Frutta difficile da trovare in estate. Addirittura è stato rinvenuto un cumulo di melograni, forse una tonnellata, messo in un deposito a seccare. E anche sorbe. Poi, otri di vino già sigillati.
Alberto Angela aveva anche parlato di altre prove storiche come quella del rinvenimento di una moneta su cui era coniata la quindicesima acclamazione all’imperatore Tito. Avvenuta a settembre del 79 d.C. Della sua teoria sull’eruzione in autunno e di tutte le prove a supporto, Angela ne parlò approfonditamente anche nell’appuntamento televisivo di “Stanotte a Pompei” del 22 settembre sempre del 2018.
Era di pochi mesi prima la straordinaria scoperta della scritta rinvenuta sulla parete della domus dove gli archeologi stavano lavorando. Ma sulla scritta trovata nella domus, come già detto, mancava l’anno di riferimento, inevitabile quindi qualche dubbio.
“E anche qui bisogna fare un ragionamento da investigatore”, spiegava Alberto Angela. Oltre al fatto che il carboncino sarebbe sparito in poco tempo se non si fosse trattato di pochi giorni prima dell’eruzione, il divulgatore espose anche un’altra concreta teoria: “Sappiamo che la stanza era in ristrutturazione e che a scrivere quella frase con il carboncino è stato un operaio. Molto probabilmente la casa, che apparteneva a una famiglia ricca, era stata danneggiata dalle forti scosse di terremoto di qualche giorno prima. E sappiamo che precedettero l’eruzione. Qualcuno potrebbe affermare che magari la scritta era dell’anno precedente. Ma io credo che in una casa lussuosa come quella la scritta sarebbe finita subito sotto un affresco. Non si sarebbe aspettato un anno”.
Lo studio pubblicato oggi parte comunque dalle varie incongruenze già evidenziate nel libro “I tre giorni di Pompei”. “Fin dal XIII secolo, la data del 24 agosto è stata oggetto di dibattito fra storici, archeologi e geologi perché incongruente con numerose evidenze. Come, ad esempio, i ritrovamenti a Pompei di frutta tipicamente autunnale o le tuniche pesanti indossate dagli abitanti che mal si conciliavano con la data del 24- 25 agosto” dice Biagio Giaccio, ricercatore dell’Igag-Cnr e coautore dell’articolo.
Ma allora perché nella sua lettera a Tacito, Plinio il giovane avrebbe scritto una data sbagliata?
Anche per questo interrogativo Alberto Angela aveva già una spiegazione più che condivisibile: “Probabilmente la data era esatta. Ma oggi di quella lettera non c’è più traccia. E allora fa fede la copia più lontana nel tempo, la prima. Evidentemente fu l’amanuense che la scrisse a sbagliare. Invece di “nove giorni prima delle calende di novembre”, come appare in altre copie successive, era stato segnato “di settembre”. Incrociando poi altre scritte riusciamo a sapere anche il giorno dell’eruzione: era un venerdì”.
Una sola cosa allora sembra certa, e in un modo o nell’altro avvalora la classica superstizione napoletana. La scritta parla del 17 ottobre, la settimana successiva, di venerdì, il Vesuvio avrebbe distrutto Pompei. Ecco dunque, “venerdì” e “17“. Non era proprio un venerdì 17, ma l’infausta data c’entra sempre.