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Pillole di storia… L’Italia divisa su un’identità sconosciuta

Nella notte del 10 marzo 1926, i guardiani del cimitero ebraico di Torino sorprendono un uomo che tenta di rubare un vaso di rame da una tomba. Immediatamente portato in Questura, si esprime con difficoltà, non ricorda nulla, nemmeno il suo nome, e non sa spiegare la sua presenza nel cimitero rivolgendosi alla forza pubblica in dialetto torinese.

Lo sconosciuto, in preda ad un concreto squilibrio mentale, viene trasferito nell’ospedale psichiatrico di Collegno dove diviene il numero 44170.

Passa circa un anno e la stampa comincia ad interessarsi al caso: il 6 febbraio 1927, la foto dello “Smemorato di Collegno” viene pubblicata sulla “Domenica del Corriere” e, per tutto il mese, “La Stampa” pubblica una serie di articoli; un centro perfetto.

A Verona, Giulia Canella, moglie del professor Canella Giulio, riconosce nello Smemorato il marito, capitano del corpo di spedizione italiana in Macedonia, dichiarato disperso il 25 novembre 1916, dopo il combattimento di Nitzopole.

Il 5 marzo, la donna va a Collegno ed, appena giunto all’ospedale, non ha dubbi: quell’uomo è il professor Giulio Canella, direttore della Scuola Normale di Verona, fondatore con padre Agostino Gemelli, dell’Università Cattolica e della rivista «Filosofia Neoscolastica», nota ed apprezzata nell’ambiente cattolico dell’epoca.

Il riconoscimento ufficiale avviene anche a causa della straordinaria similitudine tra le due fisionomie, tenendo conto del tempo, della guerra e delle traversie passate. Il direttore del manicomio dimette lo Smemorato e lo affida alla “moglie”; a questo punto, il colpo di scena. Una lettera anonima inviata alla Polizia sostiene che lo Smemorato sarebbe in realtà un certo Mario Bruneri, un ex tipografo torinese dal passato non limpidissimo per alcune pendenze legali; dagli archivi saltano fuori le foto segnaletiche del Bruneri, sorprendentemente somiglianti allo Smemorato e le impronte digitali prese in occasione di due precedenti arresti, che coincidono. Prove alla mano, non è quindi il professor Canella bensì Mario Bruneri, di cui si erano perse le tracce dal 1920 sebbene sposato e padre di un bambino. In più, oltre alla moglie, c’è anche un’altra donna che ha frequentato assiduamente nel periodo della sua scomparsa. Ce n’è abbastanza per far spaccare l’opinione pubblica in canelliani e bruneriani e la sentenza del 15 novembre 1928 fa esultare la seconda fazione.

Nel maggio del ’31, dopo l’annullamento della sentenza dalla Cassazione ed il trasferimento degli atti a Firenze, la Corte d’Appello lo condanna a quattro anni di reclusione; uscito dopo due anni, grazie ad un’amnistia, parte immediatamente per Rio de Janeiro per essere accolto dai Canella come Giulio fino al 12 settembre 1941 quando muore travolto dal diabete.

Solo nel 2014, con l’esame del DNA, si è aggiunta una parziale certezza alla già condivisa consapevolezza che lo Smemorato fosse effettivamente Mario Bruneri e non il professor Giulio Cannella. Un ossimoro in apparenza, ma che di fatto sorregge una vicenda che ha fatto discutere una generazione di italiani e, ancora oggi, continua a risultare contrappuntata da alcuni inquietanti interrogativi.

L’esame del DNA è stato condotto grazie alla collaborazione del nipote, Julio Canella, ma il risultato di fatto ha riportato alla più diffusa certezza: lo Smemorato di Collegno era Mario Bruneri. La prova del Dna è stata effettuata comparando il profilo genetico di Julio, nipote certo di Giulio Canella, con quello del fratello Camillo, un figlio dello Smemorato nato dopo la fine della guerra, quando il presunto professore ricomparve senza memoria, accolto nel manicomio di Collegno e riconosciuto da Giulia Canella come suo marito. Di fatto il cromosoma Y non sarebbe lo stesso, dunque in comune non avrebbero lo stesso padre.

Francesco Rosario Lepre

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